Mirabelli: “Gli avvisi di garanzia non devono finire sui giornali. Servono sanzioni più rigide”

8 Lug 2023 9:38 - di Eleonora Guerra
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«La divulgazione a mezzo stampa di un avviso di garanzia senza che la persona indagata sia stata informata è del tutto atipica. Non è un pratica corretta né consentita. Ed è diretta non ad assicurare un diritto alla difesa, ma a divulgare una notizia che può essere dannosa», per questo «certamente serve una disciplina più attenta». A dirlo è stato il costituzionalista Cesare Mirabelli, riflettendo sulla vicenda che ha coinvolto il ministro del Turismo, Daniela Santanché, e soffermandosi poi anche sullo strumento dell’imputazione coatta, utilizzato nei confronti del sottosegretario Andrea Delmastro. Si tratta, ha spiegato il presidente emerito della Corte costituzionale, di «un meccanismo singolare», sul quale intervenire con «molto equilibrio».

Mirabelli: “Sugli avvisi di garanzia servono una disciplina più attenta e sanzioni più rigorose”

Intervistato dal Messaggero, Mirabelli ha spiegato perché è necessaria una stretta sull’avviso di garanzia, che potrebbe avvenire prevedendo «sanzioni più stringenti per chi diffonde gli atti». Una misura applicabile anche grazie al fatto che «oggi la tecnologia può aiutare a capire come avviene la diffusione delle carte, individuando i responsabili». «L’avviso di garanzia – ha ricordato il professore – nasce come strumento di informazione per chi è sottoposto a indagine, affinché possa esercitare pienamente il suo diritto alla difesa e nominare un difensore». «Riguarda l’indagato: non è un avviso al pubblico. Dunque – ha sottolineato – dev’essere comunicato con forme dirette esclusivamente a lui».

La divulgazione degli atti “non è né corretta né consentita”

Per questo, «la divulgazione a mezzo stampa di un avviso di garanzia senza che la persona indagata sia stata informata è del tutto atipica». «Non è un pratica corretta né consentita», ha quindi avvertito il costituzionalista, sottolineando che «è diretta non ad assicurare un diritto alla difesa, ma a divulgare una notizia che può essere dannosa. Perché nelle valutazioni dell’opinione pubblica l’avviso di garanzia viene visto come una macchia, una condanna anticipata. Un effetto inappropriato di un uso ancor più inappropriato che si fa di un’informazione che invece dovrebbe rimanere destinata al diretto interessato».

Il richiamo alla politica per “sterilizzare gli effetti di questi annunci”

Poi, facendo riferimento al caso Santanchè e alla necessità che «il funzionamento della procedura» di notifica «deve essere corretto», Mirabelli ha rivolto un richiamo alla politica che «dovrebbe abituarsi a sterilizzare gli effetti di questi annunci». «Un avviso di garanzia non solo non costituisce una condanna, ma spesso non porta nemmeno a un rinvio a giudizio, e dunque tutto si risolve nel nulla», ha ribadito il costituzionalista, ricordando che «il danno reputazionale invece, a prescindere da chi sia l’indagato, è già avvenuto. Ma se annunci del genere fossero valutati come irrilevanti in prima battuta dalla politica, questo renderebbe inutile la loro divulgazione».

L’imputazione coatta è “un meccanismo singolare”

Per quanto riguarda poi la procedura di imputazione coatta, che è stata applicata nei confronti del sottosegretario Delmastro, il presidente emerito della Consulta ha spiegato che «di certo è un meccanismo singolare: se il pm chiede di archiviare un’indagine, e il giudice invece gli impone di formulare un’accusa, con quali elementi potrà formularla se è il primo a ritenere che non ci siano i presupposti? Però serve attenzione, perché non può essere un pm da solo a decidere se un caso è da archiviare o no: una simile previsione incontrerebbe dubbi di costituzionalità. Dunque, è necessario molto equilibrio per intervenire su questo aspetto».

L’avvertimento di Mirabelli sul rapporto tra politica e magistratura

Mirabelli, sollecitato da una domanda di Andrea Bulleri, che firma l’intervista, ha rilevato anche come a monte ci sia il tema del rapporto tra politica e magistratura. «La politica – ha detto – ha una doppia e contraddittoria linea nei confronti della giustizia. Da una parte, ciascuno degli schieramenti la usa per attaccare la parte avversa. Dall’altra, si dice che i magistrati non dovrebbero fare carriera attraverso la notorietà che acquisiscono con le loro inchieste, e poi invece è proprio grazie a quella notorietà che vengono arruolati e candidati a ruoli istituzionali». D’altra parte la stessa magistratura dovrebbe fare la sua parte per restare nel proprio ambito e quello che servirebbe è «un cambio nei comportamenti di ciascuno: ognuno dei due ambiti dovrebbe autoregolarsi, recidendo un rapporto che talvolta rischia di gettare ombre sull’indipendenza effettiva della magistratura dai richiami della politica».

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