Paolo, il “nostro eroe”, morto per liberare la Sicilia. Il ricordo di Borsellino

18 Lug 2023 15:06 - di Mario Campanella
Borsellino sicilia

Ognuno di noi ricorda quella domenica di 31 anni fa e ciò che accadde in Sicilia. Perché ognuno di noi ricordava il 23 maggio. In quei 57 giorni di un 1992 iniziato con la sentenza della Cassazione ( forse la vera condanna a morte per entrambi) che validava il maxi processo e continuato con l’assassinio di Salvo Lima, l’omicidio di Paolo Borsellino, dopo quello di Giovanni Falcone, metteva fine ad ogni speranza di resurrezione e di catarsi. Oscar Luigi Scalfaro, il presidente meno amato della storia della Repubblica, dovette lasciare scortato i funerali dinanzi a una folla infuriata. Paolo era uno di noi o noi eravamo della sua comunità. Sapevamo delle sue simpatie per il Msi (che lo aveva simbolicamente votato in quelle interminabili sedute per eleggere il Capo dello Stato e che solo Capaci sblocco improvvisamente) e in quella maledetta domenica aveva incontrato Pippo Tricoli, storico esponente del Msi in Sicilia. Il ’92 si chiuse la prima Repubblica. Caduta per la fine dei blocchi di Yalta e del comunismo più che per un malcostume che durava da almeno quindici anni e che era tollerato dalla magistratura in considerazione del blocco monolitico che divideva il mondo.

La Dc di Vizzini,  Lima e Ciancimino

La Sicilia aveva preceduto la nascita della Repubblica in virtù dell’accordo tra gli alleati e la mafia, sotto l’egida della DC. Era la DC di Ciancimino, Vizzini, Navarra poi della cugina di Stefano Bontate, di Lima e dei fratelli Salvo. Don Calogero Vizzini e Michele Navarra( poi ucciso dai corleonesi) erano capimafia e sindaci contemporaneamente. Un agglomerato unico che si reggeva in piedi dietro un accordo nemmeno tanto tacito. Prima di Falcone e Borsellino, c’erano stati tanti martiri. Chinnici, Costa, Terranova, Dalla Chiesa, Cassarà , il capitano Basile ucciso con la figlioletta in braccio. E tantissimi altri ancora. Tra loro, due uomini di destra. Mauro De Mauro e Beppe Alfano, straordinari giornalisti di una terra intrisa di cultura e bellezza resa invivibile dal muro di gomma.

Borsellino e Falcone avevano istruito il maxiprocesso non pescando a strascico, né trasformando Buscetta nell’oracolo di Delfi. Erano stati massacrati da parte della stampa per avere risparmiato il potere politico. Ma sarebbe stato impossibile intaccare l’alleanza tra politica e mafia, quel rapporto nato nel 1944. Difficilissimo arrivare a elementi probatori inoppugnabili. Borsellino era un uomo di una profondità enorme. Sapeva perfettamente che il suo tempo era segnato ma ne  voleva ancora per scovare gli assassini di Falcone.

Pio La Torre e Niccolai , due relazioni dimenticate

Borsellino aveva apprezzato e conosciuto uomini diversi, come Pio La Torre e Beppe Niccolai, autori di due memorabili relazioni di minoranza nella commissione antimafia che fotografavano quella Sicilia così complessa. La mafia era mutata, passando dalla leadership di  Stefano Bontade, maturità classica e passione per i quadri, cugino della deputata democristiana Bontate con una consonante diversa frutto di errore dell’anagrafe, a quella dei “viddrani” di Corleone. Forse Borsellino e Falcone erano morti dopo quella decisione della Cassazione che pose fine alle sentenze annullate per vizi di forma. Come in “Settimo Sigillo”, la morte avrebbe giocato con le loro vite per qualche mese ancora. Entrambi sarebbero stati un’espressione perfetta del doppio legame di Bateson. Incollati a uno Stato decadente, morti in pieno disfacimento di regime, sacrificati e poi  canonizzati. In quelle relazioni La Torre- Niccolai e nel coraggio che dimostrò da ministro il socialista Claudio Martelli c’è tanta verità sulla Sicilia bella e impossibile del dopoguerra,  e sulla mafia rinata dopo la repressione del prefetto Morì.

Una morte da eroe che ha liberato la Sicilia

Borsellino aveva proprio la faccia da eroe. Scostante perché lontano da ogni narcisismo. Antitetico allo specchio vivente dei suoi improbabili successori. È rimasto vivo, foscolianamente, nell’eternità . Proprio mentre moriva definitivamente  l’antimafia, come aveva profetizzato Sciascia. Sepolta dall’avvento della lotta tra fazioni. Gran parte di coloro che combattono la mafia lo fanno  ancora con proclami sterili. Oggi la mafia è mimetizzata. Non è sociologicamente rappresentabile. Borsellino è stato ucciso mentre andava dalla madre. In una domenica afosa. Ma quel sangue innocente ha rotto un patto politico istituzionale. Ha aperto nuove strade di democrazia e liberato la Sicilia. Come succede quando muore un santo.

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