Quei 400 boss scarcerati dal ministro Bonafede: Conte e il Pd li hanno già dimenticati

21 Lug 2023 18:50 - di Roberto Garritano

Quei 400 boss vennero scarcerati, in piena pandemia, proprio mentre gli italiano erano chiusi a casa. C’era addirittura Franco Cataldo, il carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato da Giovanni Brusca a soli 12 anni come vendetta per il pentimento paterno. Ma l’elenco dei quattrocento boss liberati durante il lockdown dal governo Conte contiene altri nomi di primissima qualità. Un rosario infinito di esponenti di primo piano delle tre organizzazioni criminali nazionali che fa impallidire per la qualità dei nomi. Attaccano Giovanni Donzelli sapendo benissimo che mentre gli italiani erano di fatto reclusi a causa del virus, pezzi da novanta del crimine, molti dei quali sottoposti al regime del 41 bis, trovarono la libertà.

Oltre a Cataldo c’era Pasquale Zagaria, detto “Bin Laden”, potente superboss del clan dei casalesi, fratello di Michele ( capofamiglia) ritenuto la mente economica dell’organizzazione criminale. Zagaria era malato di tumore. Non era immune dal beneficio della ritrovata libertà la più potente tra le organizzazioni criminali: la ndrangheta. Carmine Alvaro, capo della storica famiglia del reggino che conta oltre duemila affiliati, ottenne il regime della custodia domiciliare. Con lui, Vincenzino Iannazzo, della cosca di Lamezia Terme. E per la mafia siciliana, oltre a Cataldo, avevano lasciato le sbarre anche un fedelissimo di Bernardo Provenzano, Francesco Bonura, e il capo del mandamento di Brancaccio, Antonino Sacco. Messi tutti insieme un bel segmento delle famiglie e delle “ndrine” che governano la criminalità in Sicilia e Calabria e che hanno esteso la loro egemonia anche al nord.

Le polemiche sui boss scarcerati e le dimissioni di Basentini

Quando i buoi erano fuggiti dalla stalla il governo Cinquestelle-Pd cercò subito il capro espiatorio e fece marcia indietro. La polemica sulle scarcerazioni costò le dimissioni del capo del Dap Francesco Basentini, autore di una circolare che invitava i direttori delle carceri a segnalare ai magistrati di sorveglianza i detenuti affetti da gravi patologie o over 70. Il Consiglio dei Ministri, in ogni caso, su proposta del ministro Bonafede, varò un decreto che impose di rivalutare le loro decisioni a tutti i magistrati che avevano disposto i domiciliari per i detenuti sottoposti al 41 bis o al regime di alta sicurezza.

Il decreto sortì subito effetto: il primo a tornare in carcere fu il 13 maggio Antonino Sacco. Il Guardasigilli in aula disse testualmente.  “Alla data del 23 settembre(2020) i detenuti del circuito alta sicurezza e quelli sottoposti al regime del 41-bis rientrati negli istituti penitenziari risultano essere 112, cioè tutti e 3 quelli sottoposti al regime del 41-bis che erano stati precedentemente sottoposti a detenzione domiciliare, nonché ai 109 detenuti appartenenti al circuito dell’alta sicurezza. Dei 112 rientrati, 70 risultano detenuti definitivi e 42 sono ristretti a titolo cautelare”.

Il ministro pentastellato se ne lavò le mani, scaricando tutto sul direttore del Dap e sui giudici di sorveglianza. Oggi che Donzelli ricorda un fatto storico, certificato dai dati del Ministero, chi allora era al governo( Pd e 5stelle) cerca di dimenticare. Amnesie di un maggio terribile che vide fuori dal carcere elementi di primissimo piano della criminalità organizzata. Loro liberi e gli italiani( allora) a casa.

 

 

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