Somalia, 30 anni fa gli scontri al Checkpoint Pasta. Paglia, sopravvissuto all’attacco: ricordare è doveroso
Sono passati 30 anni da quel 2 luglio 1993 quando nella battaglia del Checkpoint Pasta, uno scontro a fuoco tra truppe italiane in missione umanitaria a Mogadiscio e ribelli somali, morirono il Sottotenente Andrea Millevoi. Il Sergente Maggiore Stefano Paolicchi e il caporale Pasquale Baccaro. E vennero feriti gravemente molti militari, tra cui l’allora sottotenente Gianfranco Paglia, paracadutista a cui è stata conferita la medaglia d’oro al valore militare per l’azione compiuta. Quel giorno l’Esercito italiano si trovò, per la prima volta dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, impegnato in un combattimento contro i miliziani somali nell’ormai tristemente famoso Checkpoint Pasta. Ad essere coinvolti in quelle drammatiche ore furono i soldati della missione di pace voluta dalle Nazioni Unite in una Somalia dilaniata dalla guerra civile tra clan rivali.
Somalia, 30 anni fa gli scontri del Checkpoint Pasta
Quella drammatica giornata – in cui due colonne meccanizzate italiane, composte principalmente da paracadutisti, avevano il compito di rastrellare un quartiere settentrionale della città – finì nel sangue. E ricordare quel giorno e quel sacrificio, è un atto doveroso «da parte del nostro Paese». A dirlo è il tenente colonnello Gianfranco Paglia, paracadutista della Folgore costretto su una sedia a rotelle dopo essere rimasto gravemente ferito nella battaglia del Checkpoint Pasta in Somalia. Parole che, alla vigilia dei 30 anni dallo scontro a fuoco tra le truppe italiane a Mogadiscio e i ribelli somali, elevano all’ennesima potenza il loro valore simbolico. Così, nel rivolgere un pensiero a tutti i militari caduti, il paracadutista aggiunge: «È doveroso onorare la memoria di chi ha tenuto fede al giuramento reso, e oggi non c’è più».
Paglia, il paracadutista ferito gravemente in quell’attacco: «Ricordare è doveroso»
Non solo. Il messaggio da trasmettere specie ai più giovani, prosegue Paglia, è che «quando si crede in qualcosa è giusto andare fino in fondo. Ed è ciò che facciamo quando indossiamo l’uniforme. Cerchiamo di onorarla sempre con lealtà. Onore. E sacrificio – sottolinea il tenente colonnello –. Ciò può anche portare a pagare un prezzo alto. Ma è una scelta che facciamo in piena autonomia. È importante inoltre ricordare che 30 anni fa c’era la leva. E i ragazzi di allora divennero uomini perché si trovarono a combattere per la prima volta».