Strage di Bologna, Cutonilli: nelle carte dei Servizi un buco temporale inverosimile. Gli attentati di Monaco e Parigi spiegano tutto
“C’è un buco temporale inverosimile, a mio avviso non casuale, che copre proprio il periodo più utile per la ricerca sulla strage di Bologna. Quello che va dai primi di luglio alla metà di settembre 1980. Non è credibile che la più importante stazione estera del Servizio segreto militare italiano, il famoso Centro “Bermuda” di Beirut, sia rimasta inattiva così a lungo. E proprio, guarda caso, in concomitanza con un evento terroristico di portata cosi devastante come la strage alla stazione del 2 agosto 1980”. A ridosso dal 43esimo anniversario della strage di Bologna, Il Secolo fa il punto della situazione storico-giudiziaria e delle indagini con il ricercatore e saggista Valerio Cutonilli, autore di diversi libri sull’attentato più sanguinoso della storia repubblicana che quel 2 agosto 1980 fece 85 morti, oltre all’attentatrice, “Ignota 86”, il cui Dna, ora, può essere analizzato. Ma c’è chi sta facendo resistenza anche su questo. E non si spiega il motivo. O, forse, si spiega troppo bene. D’altra parte lo scenario giudiziario è molto cambiato, diverso da un anno fa. Grazie, anche, al lavoro investigativo di storici, giornalisti e ricercatori come Cutonilli sono emersi, in quest’ultimo anno, molti elementi nuovi e probatori che ridisegnano il quadro dell’intera vicenda.
Avvocato Cutonilli, mancano pochi giorni al 43esimo anniversario della strage di Bologna. Molte, incredibili, novità sono emerse proprio quest’anno. Partiamo dalla scoperta più recente: nei documenti dei Servizi d’intelligence italiani, recentemente desecretati dal governo Meloni, la ricercatrice Giordana Terracina ha trovato carte che attestano che le Brigate Rosse ricevevano armi e munizioni dal terrorismo di matrice palestinese, attraverso l’ambasciata yemenita in Italia. E che da Siria e Libia arrivavano, invece, aiuti finanziari alle Br. Cosa significa questo per le indagini e i processi sulla strage alla stazione del 2 agosto ‘80?
“I recenti versamenti di documentazione declassificata, dal governo Meloni, in particolare quella del Centro Sismi di Beirut del 1980, nome in codice “Bermuda”, consentono di stringere ulteriormente il cerchio sugli antefatti dell’esplosione alla stazione ferroviaria di Bologna. Sono vere le minacce ritorsive formulate dall’Fplp al governo italiano. Ed è vero lo stato d’allarme che le nostre autorità registrano nelle settimane precedenti la strage. Ritengo però che tale documentazione sia ancora lacunosa. C’è un buco temporale inverosimile, a mio avviso non casuale, che copre proprio il periodo più utile per la ricerca. Quello che va dai primi di luglio alla metà di settembre 1980. Non è credibile che la più importante stazione estera del Servizio segreto militare italiano sia rimasta inattiva così a lungo. E proprio, guarda caso, in concomitanza con un evento terroristico di portata cosi devastante. Fa riflettere peraltro il fatto che la documentazione torni ostensibile proprio negli ultimi giorni di settembre 1980. Quando Sismi e Olp – questo ce lo spiegano proprio i magistrati bolognesi – hanno oramai dato esecuzione al depistaggio congiunto dell’inchiesta bolognese. Quello che porta alla costruzione della falsa pista libanese o meglio falangista”.
Qualche mese fa i magistrati bolognesi avrebbero chiesto alla nostra Intelligence di ricevere la documentazione contenente la parola “Strela”, dal nome dei micidiali missili terra-aria sequestrati al Fronte Popolare della Liberazione della Palestina e per il cui trasporto vennero arrestati a Ortona il 7 novembre del 1979 del palestinese Abu Anzeh Saleh e degli autonomi Pifano, Nieri e Baughmater. Non ricevendo documentazione sono giunti alla conclusione che questa documentazione non esiste negli archivi dei Servizi segreti italiani.
“Ricordo i tempi in cui conducevo ricerche storiche sull’argomento. La verifica mirata può condurre fuori strada. Possibile infatti che limitare la ricerca dei documenti a quelli recanti la sola voce “Strela” possa dare esito negativo. Ma nessuno può essere così ingenuo da ritenere che il centro Sismi di Beirut non abbia fornito, alla Centrale, informative e/o comunicazioni sull’esplosione alla stazione di Bologna nel periodo compreso tra l’1 luglio 1980 e il 30 settembre 1980. Basti pensare che l’11 luglio 1980 l’allarme rosso non era più questione riservata ai Servizi segreti. L’allarme lo lancia, addirittura, il capo della polizia. E non solo sulla base delle informative del marzo precedente. Chi cerca, se cerca bene, trova sempre. Io la penso così”.
Sempre in quelle carte desecretate dal governo Meloni, la dottoressa Terracina ha scoperto che vi fu una riunione verso la fine del novembre 1981 – di cui erano a conoscenza, fino ad oggi, solo i nostri Servizi segreti – nell’ufficio del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina fra Brigate rosse e altri gruppi terroristici come Polisario, l’Armata rossa giapponese, il Fronte Dhofar. Dunque c’era un vero e proprio collegamento operativo fra terroristi rossi e palestinesi? Questo sarebbe confermato anche dagli arresti a Ortona nel 1979 del giordano Saleh e degli autonomi.
“Risulta indubbia l’esistenza di una rete di collegamento, fondata sull’affinità ideologica, tra le Br e numerosi gruppi combattenti di matrice marxista non solo europei. In particolare con i gruppi armati affiliati all’Olp. Va detto che il generale Dalla Chiesa intuì tali legami, denunziandone la pericolosità. A negare tali rapporti, a oltranza e contro ogni evidenza, furono invece i vertici del Sismi. Ciò in quanto all’interno delle istituzioni nel 1980, ma anche dopo, c’era sia chi voleva recidere i rapporti con le formazioni terroristiche della galassia palestinese, sia chi cercò, invece, in ogni modo di proteggere il “Lodo Moro”, anche dopo che il doppio gioco di organizzazioni come l’Fplp era diventato chiaro a tutti gli addetti ai lavori.
Le confessioni di Peci e la crisi di Ortona resero evidenti i pericoli scaturiti dal patto di non belligeranza stipulato nel 1973 dal nostro esecutivo con le fazioni palestinesi che, al contempo, però, fornivano armi ed esplosivi ai gruppi italiani che conducevano la guerra allo Stato. Ma continuare a chiudere un occhio, secondo taluni, avrebbe permesso all’Italia di conservare buone relazioni con i paesi arabi, fornitori di petrolio che davano supporto alle frange oltranziste del fronte palestinese. La doppia anima della politica estera italiana – la diplomazia ufficiale e quella parallela – ha generato danni gravissimi che, ancora oggi, qualcuno vorrebbe negare all’opinione pubblica. Molto più utile, per alcuni, dare in pasto all’opinione pubblica l’ennesimo teorema politico o la solita storia dei superpoteri occulti”.
Torniamo, un attimo, ad Abu Anzeh Saleh, figura centrale della pista palestinese che, a tutt’oggi, va ribadito, non è affatto smentita come, invece, cerca di far credere qualcuno. Dalla documentazione recentemente desecretata dal governo Meloni emerge anzi anche un episodio ancora da chiarire compiutamente: la detenzione – così si lasciano sfuggire i Servizi segreti italiani – di Saleh nel supercarcere di Pianosa. Cosa aggiunge questo particolare alle indagini su Bologna? Peraltro in quell’occasione Saleh sarebbe stato anche percosso fino a rompergli persino una costola. Un particolare totalmente sconosciuto fino ad oggi.
“Ho appreso la notizia dalla stampa e sono rimasto sconvolto. La detenzione di Saleh – che, va ricordato, è proprio il committente del traffico di missili Strela scoperto a Ortona nel novembre 1979 – è stato minuziosamente studiata a partire dal 2005. Allorquando i membri di maggioranza della Commissione Moro ipotizzarono un nesso fra il fallito attentato al presidente egiziano Sadat e la strage di Bologna. Eppure, incredibilmente, questo trasferimento in un posto terribile e indimenticabile come il carcere speciale di Pianosa, stabilito evidentemente da chi non aveva a cuore il Lodo Moro, era rimasto completamente ignoto. Persino Saleh non ha mai voluto rivelarlo, atteso che in una nota intervista ad Arab Monitor il combattente palestinese dichiarò di essere stato arrestato a Bologna nel 1979 e tradotto nel Carcere Speciale di Trani, per poi essere da lì trasferito a Roma nella primavera 1981, pochi mesi prima della scarcerazione. Pianosa sparisce dai suoi racconti. Non è sorprendente e curioso? E, invece, dalla documentazione oggetto dei recenti versamenti si apprende che Saleh fu, proprio a Pianosa, una delle vittime del famoso pestaggio dei detenuti avvenuto nel marzo 1981. Circostanza che sconfessa, brutalmente, quanti sostengono che nel periodo successivo all’1 luglio 1980 i rapporti tra le nostre non meglio distinte istituzioni e l’Fplp fossero tornati idilliaci. La verità è che il trasferimento di Saleh da Trani a Pianosa ci è stato nascosto. Perché? Ancora non conosciamo la data e i motivi che lo resero necessario. Ma una cosa penso di aver capito ai tempi delle mie ricerche: le informazioni su tale vicenda tenute riservate sono sempre le più interessanti”.
In questi anni si è fatta molta confusione – forse anche voluta – su chi c’era e su chi non c’era in quei giorni a Bologna. Aldilà delle teorizzazioni fatte, anche con una certa curiosa fantasia, da alcuni magistrati, ci può dire chi era effettivamente presente a Bologna e chi no sulla base dei documenti?
“Sulla base dei documenti a Bologna quel giorno c’era sicuramente Thomas Kram, ex-terrorista tedesco esperto di esplosivi che, secondo gli archivi della Germania Est e dell’Ungheria comunista, era un membro dell’Ori, il cosiddetto gruppo Carlos, cioè il più famoso terrorista internazionale. Secondo le informative del Sismi, nella primavera del 1980 l’Fplp aveva incontrato Carlos. Si temeva che l’incontro fosse finalizzato all’appalto dell’azione ritorsiva, priva di rivendicazione ufficiale, prospettata al nostro governo dalla frangia estremistica dell’Olp. Kram sostiene di essere transitato per caso a Bologna. È falso. Ed è stato smentito da alcuni ricercatori che sono riusciti a ritrovare gli orari dell’epoca dei treni. Kram nega anche di aver militato nell’Ori. Asserisce che i suoi viaggi nei paesi del Patto di Varsavia, presso le basi di Carlos, erano dovuti a confronti dialettici. Andava oltre la Cortina di ferro per criticare la linea dell’Ori. Dalla documentazione della Stasi risulta che andò a Berlino est anche il 6 agosto 1980, di ritorno da Bologna”.
Ma a Bologna quel giorno c’erano anche altri personaggi, lo dicono le carte non i teoremi.
”Sì, a Bologna c’era anche Francesco Marra che, secondo le testimonianze di alcuni ex-terroristi, tra cui il fondatore delle Br, Alberto Franceschini, era stato un militante delle Brigate Rosse, coinvolto addirittura nel sequestro Sossi. Anche Marra, come Kram, sostiene di essere transitato a Bologna per caso”.
Chi altro c’era?
“C’era certamente una donna misteriosa, nascosta dietro un passaporto falso, che risultava alloggiata in un albergo proprio di fronte alla sala d’aspetto di seconda classe – dove esplose la bomba – della stazione di Bologna. Dalle verifiche effettuate dall’Interpol risulterà, poi, che questa donna utilizzava un passaporto cileno falso. Non sappiamo chi fosse, né se è sopravvissuta al 2 agosto 1980. Certamente scomparve. Vale la pena di ricordare che diversi passaporti cileni falsi sono stati utilizzati da terroristi palestinesi e anche da Carlos”.
Sempre nel 1980, un periodo particolarmente “caldo” per l’Europa, sottoposta ad una raffica di attentati, un mese e mezzo dopo la strage di Bologna, il 26 settembre 1980, in Germania, a Monaco di Baviera, durante l’Oktoberfest, viene compiuta un’altra strage: un ordigno, piazzato in un cestino uccide 13 persone e ne ferì più di 200. L’attentato venne attribuito a Gundolf Köhler, definito un estremista di destra e morto nell’attentato. È emerso poi che il gruppo Hoffmann, a cui apparteneva Gundolf Köhler, si addestrava nei campi palestinesi. Come si interpreta la strage di Bologna alla luce di questa circostanza?
“Si tende a dimenticare una circostanza di straordinaria importanza. Il 19 settembre 1980 Abu Ayad, leader dei gruppi interni all’Olp che praticano il terrorismo, da avvio, attraverso un’intervista fatta dalla giornalista Rita Porena, collaboratrice del colonnello Stefano Giovannone, capo Centro del Sismi a Beirut, al depistaggio dell’inchiesta sulla strage di Bologna. Attraverso quell’intervista resa al Corriere del Ticino, dunque Abu Ayad inventa di sana pianta la falsa pista falangista. E chiama in causa i neofascisti legati alle fazioni cristiane del Libano, alleati degli estremisti tedeschi del gruppo Hoffmann. Abu Ayad tace, però, il fatto che i militanti di questo gruppo sono addestrati, in realtà, nei campi palestinesi, un fatto oggi provato con assoluta certezza. Lecito quindi chiedersi perché Ayad accusa, ingiustamente, per la strage di Bologna, estremisti sbandati a cui lui stesso dà ospitalità e supporto, spacciandoli, falsamente, per sostenitori dei suoi nemici, ossia i falangisti cristiani”.
“Il 26 settembre 1980, sette giorni dopo l’intervista depistante, avviene la strage di Monaco: una bomba esplode all’Oktoberfest, il trasportatore dell’esplosivo viene individuato in un giovane rimasto ucciso dalla detonazione. Guarda caso è un attivista del gruppo Hoffmann. Dubito che Ayad fosse munito di capacità divinatorie. Credo invece, piuttosto, che il suo depistaggio dell’inchiesta sulla strage di Bologna avesse uno scopo meno banale di una mera operazione di propaganda. Peraltro a pensarlo era anche la Stasi, come evidenzia un eccellente ricercatore quale Gianluca Falanga. Gli apparati di sicurezza seguono con attenzioni i depistaggi organizzati da Ayad, individuando, così, una matrice unica nelle stragi di Bologna, Monaco e Parigi”.
Infatti, esattamente 2 mesi dopo la strage di Bologna, il 3 ottobre 1980, una bomba esplode a Parigi, fuori dalla sinagoga di Rue Copernic, uccidendo 4 persone e ferendone 46. La strage non fu più grave solo per un caso fortuito: perché le 320 persone che erano dentro la Sinagoga uscirono in ritardo.
Anche in questo caso, come per Bologna e Monaco, all’opinione pubblica è stata data in pasto, per anni, la pista nera. L’attentato viene attribuito al Fronte Popolare di Liberazione della Palestina – Operazioni Speciali. E proprio quest’anno, a 43 anni dai fatti, è stato condannato, in contumacia, con una storica sentenza, l’autore dell’attentato, un palestinese dell’Fplp. Come si lega questa strage a quella della stazione di Bologna?
“La giustizia francese non è disposta a credere alla storia dei superpoteri occulti. Ovviamente il principio della presunzione di non colpevolezza vale anche, soprattutto, per l’imputato, palestinese, che è stato condannato in primo grado. Ma il contesto della strage non lascia spazio a dubbi. Mentre nello scacchiere mediterraneo, Est-Ovest prendevano posizione nello scontro frontale tra Libia ed Egitto, o meglio tra Gheddafi e Sadat, i gruppi armati palestinesi, interni all’Olp, unificati sotto lo guida di Abu Ayad, hanno organizzato una controffensiva in Europa molto più sofisticata delle precedenti campagne terroristiche. Azioni prive di rivendicazioni ufficiale, utili a lanciare moniti codificati ai governi occidentali senza, però, inimicarsi l’opinione pubblica. Così da supportare – e non depotenziare – l’azione diplomatica promossa, parallelamente, dalle componenti ufficiali e più moderate dell’Olp medesimo. La sentenza francese, oltretutto, conferma un sospetto che il giudice in pensione Rosario Priore maturò addirittura nel 1982”.
Di che si tratta?
“Durante l’arresto di Giovanni Senzani fu sequestrato un biglietto olografo che conteneva le confidenze che il capo delle Br-Partito Guerriglia aveva ricevuto, durante incontri riservati a Parigi, dal più volte citato Abu Ayad. Priore interpretò il contenuto del documento in modo chiaro. Le stragi del 1980 sanzionavano la recente politica estera intrapresa dei governi europei. Quella dei tempi di Camp David e del supporto agli accordi tra l’Egitto e Israele, vissuti dal mondo palestinese come il grande tradimento di Sadat della causa araba”.
Molte novità emerse in questi anni sulla strage di Bologna sono il frutto del lavoro di storici, ricercatori e giornalisti che, come lei, scavano fra i fascicoli giudiziari rispolverando, magari, vecchi documenti nascosti, esaminando archivi anche di Paesi stranieri o trovando connessioni logiche sfuggite magari agli inquirenti. Contro questi studiosi viene spesso lanciata, anche in maniera un po’ infantile, l’accusa di depistaggio. Perché secondo lei? C’è qualcuno che teme venga a galla una verità diversa da quella ufficiale? E secondo lei qual è la verità che si teme?
“Da tempo sono diventato un semplice ma attento lettore. Il distacco giova alla comprensione. L’attacco alla persona è retaggio di una cultura profondamente illiberale. Su tutte mi hanno colpito le accuse volgari di un ex-terrorista lanciate contro uno studioso probo e rigoroso come Vladimiro Satta. Ma penso sia fatica persa. Con i suoi tempi, l’Italia è destinata a seguire l’esempio della Francia”.
Lei ha parlato della donna con il passaporto cileno falso presente a Bologna prima della strage. Possibile che a 43 anni dai fatti sia ancora sconosciuto il suo nome?
“Parrebbe di sì. Attesa anche la scoperta del Dna appartenente a una vittima dell’esplosione tuttora non identificata, aumenta il numero delle persone che s’interroga sulla reale dinamica della strage. Se l’esplosione possa essere avvenuta durante il transito della bomba verso il suo reale obiettivo, per esempio. Per sconfessare tale ipotesi, e dimostrare l’inesistenza della vittima n.86 (la trasportatrice dell’ordigno) i magistrati dovrebbero attribuire tale Dna a una delle vittime femminili censite. Ma questo non sta accadendo”.
Perché è così importante questa donna nella ricostruzione della strage di Bologna? A cosa potrebbe portare l’identificazione attraverso il Dna?
“I periti della Corte d’Assise di Bologna hanno trovato moltissime tracce di esplosivo nei reperti umani da cui è stato estratto quel Dna. Spiegano, addirittura, che si tratta dei reperti in assoluto più vicini alla valigia contenente l’esplosivo. La donna con il Dna misterioso ce l’aveva al suo fianco. La questione appare di eccezionale rilevanza. Non si può eludere dando la colpa alla polizia mortuaria o revocando, in dubbio, la provenienza dei residui dalle macerie della stazione perché, si sostiene, nel 1980 non fu osservata l’odierna catena di trasporto. Se così fosse, nessun cold case sarebbe risolto. Ma sappiamo che non è così. In ogni caso le notevoli tracce di esplosivo rinvenute dai periti d’ufficio su tali reperti umani non lasciano scampo a chi vuole svalutare la rilevanza probatoria di tali scoperte. La scienza non perdona. Quel Dna senza nome arriva dalle macerie della stazione di Bologna. Non c’è oramai più alcun dubbio”.
Sul fatto è stata stesa una spessa cortina fumogena, E ci è speculato sopra per anni ed anni. L’unica spegazione credibile fu quella di Cossiga: un carico di esplosivo OLP in transito da bologna verso il nordeuropa. Esplosivo instabile in quanto di fattura artigianale.
qualcuno aveva, indicato la pista giusta ignorata dai magistrati per seguire quella falsa italiana ,solo per ragioni politiche . Cossiga Docet.