Il generale Vannacci non arretra. La sinistra ha creato un “mostro”, la destra non ne faccia un Céline di serie B
Sul caso del libro del generale Roberto Vannacci, Il mondo al contrario, la vera domanda da farsi è: vale la pena dividere il paese in curve contrapposte per un testo che sicuramente non rimarrà negli annali della storia del pensiero? E la risposta è no. Dice: ma chi lo difende difende la libertà di pensiero. Giustissimo. Ma semplificare problemi complessi è tipico di un pensiero infantile o manicheo.
E la difesa comporta un rischio, cioè quello di ascrivere alla destra, che ha un pedigree culturale di tutto rispetto checché ne dica Scanzi, la filosofia da caserma di un generale che avrebbe potuto più agevolmente dedicarsi alla storia militare. Attenzione, dunque, a non fare di questo personaggio una sorta di Céline de noantri, cioè un autore controcorrente e corrosivo, un martire del pensiero unico, un aedo del politicamente scorretto. Il nostro infatti, a quanto si legge, già ritiene di avere illustri avi, a partire da Giulio Cesare, meglio dunque non alimentargli l’autostima.
Occorre anche dare alla sinistra quel che è della sinistra. Facendo del suo trascurabilissimo testo un caso politico le firme progressiste hanno contribuito al successo del libro di Vannacci, che pare stia spopolando su Amazon. Non solo, le aggressioni verbali contro il generale che abbiamo ascoltato a “In onda” per prendere di mira un personaggio che il governo aveva già sconfessato per bocca di Crosetto hanno fornito la misura dell’ansia da prestazione degli avversari della destra. La loro tesi? Il generale parla così perché il governo dei neri ha creato il clima giusto. E via cantando in un turbinìo di corbellerie dove non si riesce più a stabilire il confine tra quelle dette da Vannacci e quelle dette dagli haters anti-Meloni.
Roberto Vannacci in ogni caso non sembra affatto intimidito dalle polemiche, anzi. “Non mi rimangio nulla – spiega a Repubblica – Anche se alcune parti sono state travisate. Senza il contesto non si capiscono alcune cose. Esempio, quando scrivo che i gay non sono normali. Neanche io sono normale, essendo nelle forze speciali ho fatto cose che la gente normale non fa. Faccio dell’anormalità un vanto. E infatti scrivo che la normalità non è migliore o peggiore, ma se si parla di consuetudini c’è qualcosa che è normale e altro no. Asserire che una minoranza sia normale è una contraddizione”.
L’omosessualità – osserva ancora – “la ritengo sovrarappresentata, addirittura è un vanto esserlo, non esiste una demografia precisa che ci dica quanti sono, ma il motivo della iper rappresentazione qual è? Qual è l’obiettivo?. Il male non è l’omosessualità, ma rappresentare una realtà eccessiva. Sembra quasi che l’essere gay faccia salire gli ascolti e mi dà da pensare. Poi ho amici gay, nulla contro”.
C’è una lobby gay che guida l’informazione? “Ma secondo me sì, nulla viene fatto a caso. C’è qualcuno, un gruppo di pressione che opera. Comunque, sono per la libertà di espressione e anche contrario al fatto che ci siano categorie protette. Dire ‘gay di m.’ o ‘professore di m.’ è grave lo stesso. Perché dovrebbe essere diverso?. – prosegue Vannacci -Ho citato anche la legge Mancino, che non condivido, dire ‘ebrei di m.’ non è peggiore che dire ‘cristiani di m.’. Ho capito: c’è stata la Shoah, va bene, ma questo non configura la religione ebraica come protetta”.
Ora, un ultimo suggerimento se proprio si vuole approfondire il tema del totalitarismo morbido imposto dal pensiero unico. Rileggere i classici e non i novelli filosofi che si autopromuovono su Amazon. Tipo Ray Bradbury, tipo Georges Orwell, che aveva già detto tutto. Così come Allan Bloom. O ancora “La cultura del piagnisteo” di Robert Hughes Poi, se proprio si vogliono seguire le nuove mode, non tarscurare Houellebecq e Finkielkraut. Buona lettura.