L’Iran processa l’avvocato di Mahsa Amini, la giovane torturata e uccisa per il velo islamico
L’Iran processa per propaganda l’avvocato che segue il caso di Mahsa Amini, la ragazza iraniana morta nel settembre dello scorso anno dopo essere stata arrestata con l’accusa di indossare, lo hijab, il tradizionale velo islamico, in maniera non ortodossa è irregolare.
In un tribunale rivoluzionario è iniziato, dunque, a Teheran il processo per “propaganda” contro l’avvocato Saleh Nikbakht, che si trova in libertà provvisoria dopo essere stato arrestato lo scorso marzo con l’accusa – mossa dal ministero dell’Informazione di “propaganda contro il sistema”.
Un’accusa probabilmente legata alle almeno nove interviste rilasciate dal legale si media stranieri in relazione alla vicenda di Mahsa Amini.
L’avvocato ha rappresentato anche il regista Jafar Panahi e altri attivisti politici e personaggi del mondo della cultura critici nei confronti delle autorità iraniane.
Ieri, nella prima udienza davanti al giudice, il legale ha respinto le accuse alludendo a ritorsioni per aver seguito la famiglia di Mahsa Amini.
La morte della giovane iraniana innescò un’ondata di proteste antigovernative che hanno messo in difficoltà il regime di Teheran.
Arrestata, mentre era in compagnia di suo fratello Kiaresh, dalle “Pattuglie dell’Orientamento”, la polizia religiosa, il 13 settembre 2022 all’ingresso dell’autostrada Haqqani a Teheran, dove si trovava con la sua famiglia in vacanza, Mahsa Amini venne portata via.
Alla famiglia venne raccontato che sarebbe stata condotta in un centro di detenzione per essere sottoposta a un “breve corso sul hijab” e rilasciata entro un’ora.
In realtà venne trasferita in una stazione di polizia e il 16 settembre, dopo tre giorni di coma, morì.
La polizia sostenne che era deceduta a causa di un infarto ma il corpo di Mahsa Amini presentava ferite riconducibili ad un pestaggio che aveva causato una lesione cerebrale, tra cui sanguinamento dalle orecchie e lividi sotto gli occhi, con fratture ossee, emorragia ed edema cerebrale, e, inoltre, alcuni testimoni oculari affermarono che era stata picchiata e che aveva battuto la testa.
Nata a Saqqez, in Kurdistan, da una famiglia curda, Mahsa Amini, il cui vero nome curdo era Jina, sognava di diventare avvocato. E al momento della sua morte era stata appena ammessa all’Università dopo essersi diplomata nel 2018 in un liceo femminile.