Migranti, Sea Watch “punita”: fermo di 20 giorni per aver violato le leggi. Ora anche la Open Arms provoca
La nave Aurora della ong Sea Watch, che nei giorni scorsi anziché dirigersi a Trapani che era stato indicato come porto sicuro ha attraccato a Lampedusa, è stata “punita”. Decisa a violare le norme, ha fatto sbarcare i migranti dove l’equipaggio si era prefissato, facendo sbarcare 72 migranti. Pertanto, era scattata la perquisizione a bordo, al termine della quale è stata sottoposta a fermo amministrativo per 20 giorni.
Le ong provocano: Sea Watch “punita”
Fino a tarda sera, dopo l’ispezione, la guardia costiera ha esaminato tutti i documenti di bordo ed ha verificato gli strumenti tecnici – riporta l’Ansa-. I poliziotti della squadra mobile e quelli della Digos della questura di Agrigento hanno invece ascoltato i migranti che sono stati soccorsi e sbarcati sabato. La Sea Watch aveva detto che “non aveva altra scelta”. In realtà, il “giochetto” è fin troppo scoperto: lo scopo è sfidare apertamente il governo italiano. Le ong non hanno mai accettato la stretta del governo sui salvataggi delle associazioni non governative. Le nuove regole introdotte a inizio anno prescrivono che le navi delle Ong devono seguire le indicazioni di sbarco che vengono loro fornite e il porto indicato dalle autorità italiane. Le sazioni previste sono note e possono arrivare, come in questo ultimo caso, anche al fermo.
Le navi ong violano le norme e poi “piangono”: vogliono scegliersi il porto che vogliono
Nonostante le regole chiare, le ong le violano e poi “piangono”: “Secondo le autorità italiane dovevano sbarcare a Trapani, dove Aurora non poteva arrivare; o in Tunisia, dove non sono garantiti i diritti umani”, spiega la Ong in una nota in cui protesta contro la sanzione ricevuta. “Sbarcare a Lampedusa era l’unica opzione possibile per Aurora viste le limitate risorse di carburante, cibo e acqua potabile della nave per raggiungere il porto di Trapani”. Ma c’è un non detto che rende il trucchetto un gioco scoperto. Da tempo le associazioni non governative utilizzano navi di piccole dimensioni: va da sé che, proprio per la esiguità del serbatoio, non possono essere mandate in porti troppo lontani. Ma tutto questo gli equipaggi lo sanno benissimo: già in partenza hanno contezza dei limiti della loro imbarcazione, dei limiti di serbatoio e di altri elementi fondamentali come l’acqua. Dunque, delle due l’una: o hanno fatto calcoli sbagliati o è tutto calcolato per potere approdare dove vogliono. Ma questo non può avvenire in barba alle leggi italiane.
Open Arms sbarca i migranti a Marina di Carrara. Ma insulta il governo
Una prova dell’intento provocatorio delle ong è dato dal caso dell’arrivo in mattina a Marina di Carrara della Open Arms: la nave con a bordo 195 migranti a cui è stato attribuito il porto apuano come scalo finale. I migranti saranno fatti sbarcare e poi accompagnati al polo di Carrara Fiere per le visite mediche e le procedure di identificazione. Saranno quindi smistati nei vari centri di accoglienza. Ma anche qui si è verificato il piagnisteo. Nonostante si sia subito messa in moto la macchina dell’accoglienza coordinata dalla Prefettura, è partito l’insulto all’Italia. Preferivano infierire sulla situazione dei porti siciliani: “Quattro giorni di navigazione – piangono dalla Open Arms- 615 miglia di distanza e inutili ulteriori sofferenze per ognuno di loro”. Il tutto suona come una provocazione.
Le navi delle Ong vigliono la Sicilia, terra già stremata
Tutti sanno quanto il governo sta facendo in questi mesi difficili in cui gli sbarchi sono in aumento. La polemica tra governo e amministratori sta lì a dimostrarlo. Ma le ong vivono in un moondo tutto loro e il venir meno alle regole aggrava una emergenza di cui tutti ora, anche il Pd, si stanno rendendo conto dopo anni di immigrazionismo spinto. Dunque, il controllo dell’emergenza passa anche sul fronte delle Ong che l’esecutivo è andato a normare in modo chiaro. Ma a quanto pare lo sforzo del nostro Paese non è loro gradito: vorrebbero far sbarcare tutti i migranti nei porti della Sicilia mettendo a rischio al tenuta delle strutture (ma anche quella sociale) in una terra stremata dall’emergenza immigrazione.