Pompei regala un’altra “perla”: i resti di un sacrificio al dio Sabazio nel Complesso dei riti magici
Pompei non cessa di sorprendere. Grazie al rinvenimento di un piccolo ma importante deposito di resti vegetali, tra cui melagrane, nocciole e forse datteri, è stato possibile ricostruire la scena di un sacrificio che dovette svolgersi probabilmente nel corso delle celebrazioni in onore del dio Sabazio. Si tratta di una delle scoperte fatte a Pompei durante la sesta campagna di indagini archeologiche del progetto Praedia, “Pompeian Residential Architecture: an Environmental, Digital, and Interdisciplinary Archive”, che si è conclusa il 21 luglio scorso. Il culto di Sabazio era di tipo orgiastico pari a quello dell’affine Dioniso con il quale venne confuso. La campagna di scavo è condotta dall’Università di Pisa e dalla Scuola Imt Alti Studi di Lucca, con il coordinamento di Anna Anguissola (Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa) e Riccardo Olivito (Scuola Imt Alti Studi di Lucca), e la direzione, per il Parco Archeologico di Pompei, di Silvia Martina Bertesago. Ne dà conto l’Adnkronos.
Il complesso dei riti magici a Pompei
Per il terzo anno lo scavo si è concentrato nel Complesso dei Riti Magici, che occupa la parte centrale dell’Insula 1 della Regio II lungo via di Nocera. Gli scavi degli anni passati si erano concentrati nel giardino più esterno, accessibile dalla strada. Le indagini avevano messo in luce i resti di almeno tre abitazioni che occupavano l’area prima che fosse costruito il Complesso dei Riti Magici. La campagna di ricerca del 2023 ha riguardato invece i giardini interni, in tre punti differenti, per definire in modo più preciso lo sviluppo di questo complesso edilizio. È stato così possibile riportare alla luce i resti di strutture molto più antiche di quelle rinvenute nelle precedenti campagne e di arricchire i dati sulla storia del complesso e dei riti che in esso si svolgevano, tra cui, appunto, anche quelli dedicati al dio Sabazio.
Pompei, la scoperta, il team
La struttura, messa in luce tra il 1953 e il 1958, deve il suo nome ad alcuni oggetti rinvenuti al suo interno, in particolare due mani in bronzo decorate con figure animali e vegetali, due crateri con la medesima simbologia e due riproduzioni di serpenti in ferro. Inizialmente si pensò che queste suppellettili appartenessero a una sibilla, che qui svolgeva i propri riti. Studi recenti hanno invece ipotizzato che l’edificio, dal 62 d.C. fino al momento della sua distruzione causata dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., fosse destinato alle celebrazioni del culto di origine tracia del dio Sabazio, venerato anche dal proprietario di una domus vicina, che possedeva un busto in bronzo del dio. In effetti, questo vasto complesso, composto da tre ampie aree aperte sulle quali si aprono piccole stanze secondo una planimetria peculiare, può essere difficilmente identificato come semplice domus. Del team di archeologi coordinati da Anna Anguissola e Riccardo Olivito, fanno parte anche Chiara Tarantino (Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa) ed Emanuele Taccola (Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, laboratorio LaDiRe). Con loro sono stati impegnati collaboratori, dottorandi e studenti degli enti partner del progetto, oltre che di università italiane e straniere: Alessandro Carletti, Nicole Crescenzi, Angela D’Alise, Rodolfo Gagliardi, Caterina Lobianco, Alberto Martin Esquivel, Antonio Monticolo, Daniele Renna, Angelica Tortorella.