Stupro di Caivano, l’abisso: violenze inflitte per mesi con carnefici che si aggiungevano al branco
Stupro di Caivano, un abisso senza fine in cui l’orrore emerso fin qui dilaga a macchia d’olio ad ogni nuova acquisizione d’indagine. Uno scempio perpetrato all’ombra del Parco Verde: un intricato coacervo disagio e criminalità quotidiana. Un luogo già tristemente noto alle cronache per la tragedia della piccola Fortuna Loffredo, la bambina di sei anni violentata e poi buttata giù dall’ottavo piano dal suo carnefice. Un contesto senza tetto né legge a fronte del quale, come scrive Il Messaggero che ha intervistato oggi la mamma di una delle due giovanissime vittime della violenza del branco – due cuginette di 10 e 12 anni, abusate da mesi a cui gli aguzzini hanno intimato a suon di schiaffi e minacce il silenzio – «la scuola, insieme alla parrocchia di don Maurizio Patriciello e all’associazione Un’infanzia da Vivere, è l’unico presidio di legalità in questo difficile posto».
Stupro di Caivano, un abisso di orrore senza fondo
Una polveriera controllata dai boss dello spaccio e da generazioni di eredi di una criminalità da perpetrare come fosse una marchio genetico di famiglia. Un inferno in cui sono tornati a esplodere in tutto il loro fragore brutalità e omertà. Perché, come rimarca il quotidiano capitolino, «tutti nel Parco Verde sapevano e tutti hanno taciuto. La più piccola era costretta da più di un anno ad avere rapporti sessuali completi con un sedicente fidanzatino, figlio di quella cosiddetta “borghesia delle piazze di spaccio”. Poi, dall’inizio dello scorso gennaio, entrambe le cuginette sono diventate bambole di carne date in pasto al resto del branco». L’inchiesta in corso, allora, segna e rilancia gli estremi di una viaggio che chi vive in quei palazzoni è costretto ad affrontare (e subire) ogni giorno. Come le ultime due giovanissime vittime dello stupro di gruppo, abusate reiteratamente per un numero di volte ancora in corso di definizione.
Violenze perpetrate per mesi da carnefici che si aggiungevano al branco
Quel che emerge con chiarezza, invece, e Il Messaggero lo riporta, è quanto gli inquirenti al lavoro sul caso – coordinati dalla Procura dei minori e da quella di Napoli Nord – hanno fin qui accertato: «Le ragazzine venivano avvicinate dai componenti del branco – un numero cresciuto nel corso dei mesi – non appena uscivano di casa. Poi venivano costrette a seguire i carnefici fino al luogo scelto per le violenze». Dunque, il cerchio dei carnefici allargava le sue maglie. E il luogo delle violenze poteva cambiare a seconda delle indicazioni del branco. Tutto immortalato in video aberranti fatti circolare in chat, con tanto di reazioni e rivendicazioni. E così il quotidiano romano riferisce: «Un paio di volte sono state portate presso l’ex complesso sportivo Delphinia, a ridosso del Parco Verde. Un posto orribile, pieno di rifiuti e tappezzato di siringhe usate. A tradire gli stupratori è stato il “vezzo” di registrare le violenze in video, fatti poi girare in chat con commenti trionfalistici».
Stupro di Caivano, la replica della mamma di una delle vittime a pm e assistenti sociali
E allora, nel dilagare in rete, «uno dei filmati è finito sul telefonino del fratello di una delle vittime», riferisce Il Messaggero. A quel punto, «i familiari delle bambine si sono precipitati dai carabinieri della locale compagnia, diretta dal capitano Antonio Maria Cavallo, e, alla presenza dei genitori, le vittime sono state ascoltate in un ambiente protetto. Immediate sono scattate le indagini. In poche ore i militari hanno identificato una quindicina di sospettati e sequestrato una decina di cellulari. La procura dei minori di Napoli ha anche disposto per entrambe le vittime l’allontanamento dalle rispettive famiglie e la sistemazione in una struttura adeguata. Ora si trovano in una casa famiglia e la mamma di una di loro, intervistata dal quotidiano romano, replica sulla relazione dei servizi sociali in cui si legge di una minore «esposta, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per l’incolumità psicofisica».
Via dall’incubo: le due giovani vittime collocate in una struttura protetta
Non solo. «Gli stessi assistenti sociali, scrive il pm – e riporta Il Messaggero – «sono intervenuti in una situazione di chiara emergenza allo scopo di mettere in sicurezza la minore delle condotte dei genitori». E ancora: «È stata vittima di gravi abusi da parte di un gruppo di coetanei. Lo stile di vita della minore, che ha “favorito” la perpetrazione del reato ai suoi danni, è senz’altro frutto della grave incuria dei genitori che con ogni evidenza hanno omesso di esercitare sulla figlia il necessario controllo». La mamma di una delle due vittime, però, non ci sta e replica: «Lei è la mia vita. Da parte mia non è mai mancata alcuna attenzione, ho sempre avuto lo scrupolo anche di controllare le sue amicizie, e persino il modo di vestirsi, quando usciva», ha detto la donna.
La madre di una di loro: «Accuse che non meritiamo»
Poi, nello specifico, riferendosi alla decisione dei giudici di allontanare la figlia e collocarla in una struttura protetta, ha sottolineato come la propria famiglia «non abbia colpe. In questo degrado umano e sociale abbiamo fatto sempre il possibile per il bene di mia figlia. Queste sono accuse che non meritiamo». Quindi conclude: «La prima cosa sarà andare via da questo schifoso inferno che non lascia via di scampo a nessuno».