Attacco al Nagorno-Karabakh, l’Azerbaigian: “Avanti fino alla resa dei separatisti armeni”
Resta altissima la tensione tra Armenia e Azerbaigian, dopo che ieri Baku ha lanciato un’azione militare contro la regione contesa del Nagorno-Karabakh, bombardandone la città più importante, Stepanakert, con un bilancio denunciato dalle associazioni dei diritti umani di 25 vittime, tra le quali due civili, compreso un bambino, e 80 feriti. Nonostante gli appelli internazionali alle de-escalation, infatti, stamattina l’Azerbaigian ha fatto sapere che le sue misure militari continueranno “finché i separatisti armeni non si arrenderanno”.
La nuova crisi tra Armenia e Azerbaigian
Baku parla di “operazione anti terrorismo”, giustificandola con un attacco che sarebbe stato compiuto dai separatisti, piazzando due mine, e che è costato la vita – è stata la denuncia – a 11 azeri, tra militari e civili. Il primo ministro armeno, Nikol Pahinyan, ha risposto parlando di “un’operazione di pulizia etnica degli armeni presenti nel Karabakh”.
L’ultima guerra per il Nagorno nel 2020, ma la tensione è sempre rimasta alta
La tensione nel Caucaso meridionale è alta da mesi attorno all’enclave separatista, riconosciuta a livello internazionale come parte dell’Azerbaigian. L’Azerbaigian e l’Armenia sono entrati in guerra l’ultima volta tre anni fa. Stamattina, il ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha affermato, tra l’altro, che l’equipaggiamento militare appartenente alle forze armate armene è stato “neutralizzato”, compresi veicoli militari, artiglieria e installazioni missilistiche antiaeree. Ieri, Baku aveva ordinato alle “formazioni militari armene illegali” di consegnare le armi e di sciogliere il loro “regime illegale”. Gli armeni del Karabakh hanno lanciato un appello per un cessate il fuoco e per l’avvio dei colloqui. Ma era chiaro dall’ultimatum azerbaigiano che l’obiettivo di Baku è completare la conquista dell’enclave montuosa.
Roma si offre la mediazione e propone il modello Alto Adige
Sul caso si muove la comunità internazionale. Tajani ha incontrato a New York, dove si trova per l’assemblea generale dell’Onu, i ministri degli Esteri azero e armeno, offrendo la mediazione di Roma per il cessate il fuoco e l’adozione del modello Alto Adige per la soluzione del contezioso. La Francia ha chiesto la convocazione urgente di un Consiglio di Sicurezza Onu. Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha avuto un colloquio telefonico con il primo ministro armeno. La Russia ha esortato “le parti in conflitto a fermare immediatamente gli spargimenti di sangue, a cessare le ostilità e a prevenire vittime tra la popolazione civile”, così come il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterrez.
Il ruolo della Turchia e i segnali ambigui da Mosca
Ma anche il conflitto che si consuma al confine tra Armenia e Azerbaigian ha una portata tutt’altro che locale, investendo la scena geopolitica con la gran parte dell’Occidente schierato con Erevan e la Turchia con l’Azerbaigian, avvertendo che per il Nagorno-Karabakh “non verrà accettato altro status” che quello di territorio azero. C’è poi l’atteggiamento ambiguo della Russia. Sebbene in Cremlino, infatti, si sia rivolto ufficialmente a entrambi le parti e fatto sapere che lavora a una “soluzione pacifica”, da Mosca, che da tempo ha rapporti tesi con l’Armenia, non è mancato un intervento del vice presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, Dmitry Medvedev, contro Pashynian. “Indovinate quale destino lo attende”, ha scritto l’ex presidente russo su Telegram, accusando sostanzialmente il premier armeno di aver tradito durante la precedente crisi regionale la tradizionale amicizia con Mosca.