Conversazioni con Ugo Spirito: il culto per la ricerca incessante e libera
I primi anni in cui mi stabilii a Roma insegnavo in una scuola privata, a via Piave, titolare un signore che si chiamava Puma, che abitava niente di meno che nel palazzo del Principe Brancaccio. Questo Puma era stato un Professore o uno studioso di matematica, in rapporti amichevoli con il filosofo Ugo Spirito. Nel 1965 pubblicai il mio primo libro di poesie: “ La conclusione”, Editore Vallecchi, prefazione di Mario Luzi e Carlo Betocchi. I quali,con Geno Pampaloni, dirigevano la collana. Il libro ricevette il Premio Fiuggi Fiera Letteraria in una giuria di cui era Presidente lo scrittore Aldo Palazzeschi e tra i giudicanti Enrico Falqui, Salvatore Battaglia. Il Dottor Puma lesse il volume e un giorno mi disse che mi aspettava per conoscermi Ugo Spirito e di andarlo a trovare al Collegio Romano. Mi presentai nei maestosi edifici del Collegio Romano, entrai in una stanzona, dove, ad una vasta scrivania era seduto Ugo Spirito. Non dimostrava assolutamente gli anni che gli si erano accumulati: magro ma ben messo fisicamente, saldo, piccolo, con degli occhi scuri attenti e una faccia ampia, forte, rusticana nei tratti. Mi accolse e mi parlò del libro concludendo con una frase che non utilizzai: “Metta subito a buon risultato quel che ha ottenuto perché la giovinezza è l’età delle conquiste”.
Colloqui con Ugo Spirito su “Opera Aperta”
Qualche anno dopo insieme a Massimo D’Avack, figlio del Rettore dell’Università di Roma e ad un sacerdote, Sante Montanaro, uomo di impareggiabile amore per la cultura, diressi una rivista a quei tempi notevole, “Opera Aperta”, alla quale collaborarono: Alberto Moravia, Mario Luzi, Alberto Bevilacqua, Elsa de’ Giorgi; l’estensore di Encicliche del Pontefice Paolo VI, Padre Jarlot; Achille Occhetto, Vittorio Fagone; Vittorio Saltini, Armando Plebe, Goffredo Parise, Pier Paolo Pasolini, Alberto Asor Rosa, Luigi Malerba. Ricordai Ugo Spirito e per svolgere temi che alla rivista interessavano, lo richiamai per degli interventi e dei colloqui. Spirito, più o meno come Moravia, anche se meno emozionale, aveva una ospitalità mentale che rimane nella memoria. La rivista “Opera Aperta” pubblicò le conversazioni.
Gentile e Spirito
Spirito era stato dentro il Ventennio con un orientamento tutto suo, teorico della “scandalosa” idea del Corporativismo. Fu certamente uno di coloro che colsero i meriti ma anche i pericoli del liberismo economico. Non è il caso di considerarli “profeti” a tanti anni di distanza ma indubbiamente il liberismo ha prodotto grandi vantaggi e problemi. Non dimentichiamo che Spirito ragionava dopo il 1929. Era stato vicino a Giovanni Gentile ma finì con il dare molta importanza alla scienza, assai più di quanto gliene dava l’Idealismo. Spirito rese l’Attualismo un ricercare perpetuo esistenziale, non l’autoporsi dell’Idea. Il culto di una ricerca che non è mai esaurita e il culto della scienza non è che fossero contraddittori, di certo oltrepassavano le ideologie, la comunista e la cattolica; la quale ultima, anche se è una religione, dal punto di vista filosofico è una ideologia.
Spirito comunque non si sbarazzava ignorandolo del marxismo né credeva che una società potesse essere retta da principi religiosi o ispirarsi a principi religiosi. Riteneva che la società dovesse venire guidata dai “competenti”, da chi scientificamente sapeva reggerla mediante la scienza, con metodo scientifico. Era una derivazione del positivismo di Comte che Spirito a mio avviso radicalizzava e attualizzava, come si mostra dalle conversazioni pubblicate sulla rivista “Opera Aperta”. Non condividevo l’ipotesi di un mondo “scientificizzato”, regolato dagli scienziati, uniformato, privato di ideologie meno che mai la fine della religione, anche se non credente. Spirito distingueva religioni storiche,a cui non aderiva,da ricerca di Dio o di un principio ordinatore che oltrepassasse lo specialismo della scienza. Nell’ultima conversazione, pubblicata su “Opera Aperta”, mi disse che ricercava Dio da cinquanta anni senza trovare; ma senza stancarsi di cercare e non rassegnandosi ai particolarismi della scienza, utilissimi, per altro. Era un “laico” nel non portare nella società i valori esclusivi di una religione, ma senza rinunciare a indagare su Dio.
La ricerca di Dio
In campo filosofico visse con intensità e fermezza la disperazione di non trovare un approdo. Parlava e nominava Dio, ma come entità di una trascendenza così trascendente da restare soltanto una meta all’infinito, inesauribile e imprendibile, addirittura indefinibile. Mi disse in un colloquio ( “Opera Aperta”, 1971): “Personalmente io da cinquanta anni vado in cerca di Dio, ma dopo cinquanta anni non ho raggiunto alcun risultato. Ricerco ma non trovo. Eppure questo cercare e non trovare da cinquanta anni, non mi ha fermato nella ricerca. Di modo che l’unica cosa ch’io rivendico come affermazione è questa: di educare alla ricerca, nonostante la delusione continua dei risultati”. Spirito considerava “storiche” le religioni, quindi soltanto manifestazioni delle varie società e delle varie epoche. Insomma, non stabiliva alcun rapporto fra le religioni e Dio. Dio era al di là, assolutamente al di la delle religioni. Era la ricerca sul senso del tutto. Il “Problematicismo” di cui fu teorico si innestava nell’Attualismo in senso esistenziale: un andare avanti, un cogliere l’evenienza, fosse il comunismo o la rivolta dei giovani o la scienza. Non si trattava di un prendere in considerazione passivo, ma di non rifiutarsi al confronto con le novità, al confronto con il futuro. Restando la sua, di Spirito, determinazione a non risolvere l’esistenza in un “senso” esclusivamente individuale della vita e della economia; piuttosto volgendosi all’indagine sulla totalità ovvero Dio, non contentandosi della storia, della materia e delle stesse religioni. La sua teorizzazione del problematicismo, di una ricerca continua, dava respiro di libertà: non poggiare sull’acquisito, dialogare, rinnovarsi…
L’incontro con l’editore Dino
Andavo nella sua casa, a Piazza Carracci e si discuteva o si conversava, su argomenti che potevano essere oggetto di dialogo per la rivista. Erano gli anni del Sessantotto. Con la fine della Rivista sembrava che il rapporto si attenuasse, invece avvenne l’opposto, per una circostanza fortuita. Cominciai a collaborare con l’Editore Salvatore Dino, intensissimamente. Dino concepì la collana saggistica Ragione e Tempo; Pier Luigi Zampetti, Giuseppe Sermonti, Nicola Abbagnano, Rocco Buttiglione, il Generale Umberto Capuzzo ed io scrivemmo testi. E Ugo Spirito, anch’egli, aveva scritto, in diversa collocazione, un libro con Dino. Dino era interessato a trovare chi indagasse vie economiche né capitaliste- intese come massimizzazione del profitto- né comuniste. Il che mi interessava e interessa moltissimo. Con gli anni Dino mi pubblicò una decina di libri, culminanti nell’ipotesi del lavoratore che diventa imprenditore. Salvatore Dino era stato per qualche periodo prossimo allo Scià di Persia Reza Phalavi, il quale ammodernava il suo Paese. Gli suggerì un testo di filosofia dell’economia, di politica economica. Doveva scriverlo uno studioso mediorientale. Dopo tentativi non conclusivi, Dino ricorse al filosofo italiano Ugo Spirito. Spirito aveva tutta la vita cercato di ispirare un “sovrano”: era a suo modo un cavaliere per i viaggi dell’anima e della mente. Cavalcò, è il caso di dirlo, questo scopo, e ne venne “La rivoluzione dell’Iran”: una trattazione su come lo Stato iraniano poteva favorire lo sviluppo in tutti i campi, scuola, economia; con un dosaggio di iniziativa privata e statale e con i lavoratori partecipi delle varie imprese. Collaborando con Dino mi ritrovai questo libro di Spirito che era stato pubblicato a milioni di copie in Iran in inglese e poi in edizione italiana: fu la terza modalità del rapporto con Spirito, recensii il libro, facemmo dibattiti di prim’ordine.
Il viandante e la verità
Spirito fino all’ultimo rimase l’uomo che avevo conosciuto nella mia giovinezza, piccolo, tarchiato, la faccia forte dai tratti rustici, due occhi scuri attenti e quel mezzo sorriso tra il burbero e l’affettuoso che mi resta nella memoria come l’ombra di un padre. Un viandante in cerca di nuovi orizzonti oltre le macerie ideologiche del XX secolo. “Che vuol dire verità particolare? Verità particolare vuol dire una verità che è testimoniata tale dalla verità totale. Se non si conosce la verità totale, come si può sapere che la verità parziale è verità?”. Una frase di Ugo Spirito. E tuttavia pur se scettico, Ugo Spirito riteneva che la società ormai doveva essere regolata dagli scienziati e dalla scienza, anzi: la vita. Una faccenda problematica. Oggi più che nel passato. Perché oggi abbiamo il sottoprodotto della Scienza, la tecnologia, che però si avvale della Scienza per modificazioni radicali, sull’uomo e sulla natura. Davvero mi spiace che non sia presente Ugo Spirito. Era l’uomo con il quale discutere. Credeva nella scienza ma era un filosofo. Con una idea dell’uomo che non si limitava a fare ogni esperimento sull’uomo e sulla natura. Come oggi sciaguratamente sembra sia l’andamento.