L’insopprimibile passione per il Latino: è la nostra possibilità di eternità

25 Set 2023 13:29 - di Antonio Saccà
Latino

Forse una malattia, persino incurabile, addirittura mortale? Risposta  incerta. Personalmente ho convinzione decisa: mi sono ammalato di lingua latina ( “latinite”),  febbre da terzo grado, prossima allo scoppio. Colpi al cuore, sbandamenti, Cammino, e mi vienein mente:”Qui fit, Maecenas, ut nemo, quam sibi sortem fors obieceritit, illa contentus  vivat, laudet  diversa seguentes?”, Orazio finge di chiedere a Mecenate come mai l’uomo vanta gli altri  scontento di sé. Vera o no che ci sia in tutti la scontentezza, è lo slancio snello, di colpo, che gradisce. Qui fit Maecenas…  “Qui fit” , il Qui vale e recide Quomodo. Noi diremmo:”Come avviene che…”,  meno scagliato di Qui fit. “Diversa seguentes”, noi prolisseremmo: ”seguono vie diverse”. La mancanza di articoli, lo sappiamo , rende rapida, squadra, senza irrigidire, anzi, la lingua latina.

Latino tra semplicità e bellezza

Che  impeto, che spontaneità lavorata che sembra, però, spontanea e che semplicità nitida! Cammino. “Lugete o Veneres Cupidinesque et quantum est hominum venustiorum!”.. E’ Catullo. Le Veneri e i Cupidi, gli uomini  devoti  alla bellezza devono piangere, “Passer mortuus est meae puellae”,  è morto il passero che deliziava la sua fanciulla, la  celeberrima e libertinissima Lesbia (Clodia). Questo  passero “Nec sese a gremio illius movebat sed circunciliens modo huc modo illuc  ad  solam dominam usque pipiabat”. (Girava intorno soltanto alla padrona,  pigolava, canticchiava, per lei). Cammino con circoncilienspipiabat, perfetti in sé. E Catullo non arresta. La morte del passero è la Morte. Il passero si avvia  “per iter  tenebricosum illuc, unde negant redire quenquam”:  il passero si inoltra intenebrandosi  dove è negato che alcuno torni. Ma la frase tenebricosum, redire quenquam sono intraducibili, innestati nell’espressività della lingua latina. Occorre mantenere viva la lingua latina. Ho riferito versi elementari, da scuola media di un tempo. Per alcuni di noi vi è un cassettino, un angolo mentale dove è scritto: Lingua latina, Letteratura latina, Mondo greco. Un emisfero. Reale. Necessario salvare il latino.

Gli autori latini che aiutano a vivere

Quando, ridestato dal coma, presi consapevolezza sufficiente, un conoscente mi donò in portineria la raccolta totale di scritti letterari latini anche  in lingua originale fino al V secolo dopo Cristo: una delle ragioni per  cui sono guarito è stata la lettura di quei testi. Autori in frammenti, spesso poco diffusi, IV, III  secolo a. C., a non dire un Autore del  I secolo d.C., Lucano, che ha ispirato Dante; e non inferiore nelle  fantasie metamorfosiche e nella violenza politica. Inutile nominare Ovidio delle Metamorfosi  o Lucrezio, “De rerum Natura”: (…) alma Venus, caeli subter labentia signa  quae mare  navigerum, quae terra frugiferentis concelebras. Bisogna salvare la lingua latina. Cambiare linguaggio all’Imperatore Adriano? “Animula blandula vagula Hospes comesque corporis”. “Piccola anima che te ne ne vai…”. Hospes comesqu: Adriano congiunge ospitalità e compagnia tra anima e corpo  usando comesque: non pone “et” ma prolunga comes in comesque, stringendo l’unione tra ospitalità e compagnia, la fugacità della vita, hospes, la durata della vita, comes.

Latino, lingua eterna

Certo, innumerabili lingue  sono totalmente estinte, ma vi sono lingue che sono ereditate. Trasfusionali, recano la civiltà nel presente pur essendo passato: un passato presente, un presente passato che costituiscono l’eternità mondana, la nostra possibilità di eternità. Ecco, questa è vita, accrescimento, civiltà. Ridare civiltà alla società. Non basta stare insieme. Non basta essere comunità. Occorre la civiltà. Fu e perdura la non felice esclusione della lingua latina dalle chiese cattoliche. Oremus, santificetur, in mulieribus, laus et iubilatio, procedenti ab utroque, virgo prudentissima, ianua coeli,  fiat voluntas tua sicut in coelo sicut in terra, requiem aethernam dona eius domine, in secula seculorum, amen, ite, missa est. Agnus dei qui tollis peccata  mundi, miserere nobis… Ma quale strabiliante ragione ha tolto suono a queste  espressioni incise perfino in chi non è credente. Dobbiam recuperaci. Gli amici che stanno ora al Governo ritemprino la civiltà greco-latina e le lingue. Se dovessi stendere una diagnosi sociologica sulla nostra epoca scriverei: in passato l’uomo cercava di arricchirsi di interiorità; oggi cerca di accrescersi con la potenza all’esterno.

La tecnica è potenza all’esterno. L’Umanesimo è potenza all’interno (anche il Rinascimento è potenza interiorizzata). La tecnica è  grandiosa ma non ha interiorità. La storia è storia dei popoli, ma i popoli passano nella concretezza dell’individuo. La  Grecia ebbe la coscienza dell’individuo, degli uomini illustri. E la trasmise ai romani, che la trasmisero al Rinascimento e  al XIX secolo. La vita, la scultura, il dipinto, il soggetto, l’individuo. Poi vi fu, vi è l’astrazione, la tela vuota,  l’oggetto. La macchina. Ma il dentro dell’uomo si scuoia, versato nello strumento . Ed il mezzo denominato comunicazione ha precipitato la situazione, fa valere ciò che è diffuso non ciò che vale, alterando la consistenza delle valutazioni. L’uomo non  si affidi esclusivamente al potere tecnico e all’efficacia della comunicazione clamorosa, sono dimensioni esterne. Non vi rinunci, ma coltivi il rigoglio dell’interiorità, il sentire, l’esprimere, le risonanze del mondo. La vita ricrei il passaggio dell’individualità sensiente e espressiva. Arte. Confrontarsi con gli antichi.

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