Napoli si ribella al modello Gomorra. Solo Saviano nega l’effetto-emulazione sui giovani

7 Set 2023 13:13 - di Valerio Falerni
Gomorra

«Napoli sei tu, non Gomorra», ha gridato ieri Ludovica Cutolo mentre alcuni giovani si issavano sulle spalle la bara del fratello Giovanbattista, Giogiò per gli amici, freddato all’alba del 1° settembre da un balordo minorenne nel pieno centro di Napoli. «Basta con le fiction come Mare fuori», aveva intimato il padre a cadavere del figlio ancora caldo. Due testimonianze dirette – soprattutto autentiche se si guarda al dolore che le ha ispirate – di come Napoli sia stanca di una narrazione a senso unico che ha finito per trasformare i suoi atavici mali in un destino ineluttabile: degrado, violenza, sopraffazione. Con protagonisti, purtroppo, sempre più giovani.

Il grido ieri ai funerali di Giogiò: «Napoli sei tu, non Gomorra»

E mentre tutto questo si consuma, il resto d’Italia contempla lo sfacelo attraverso serie e film, appunto, come Gomorra, Mare fuori o La Paranza dei bambini. Racconti tecnicamente perfetti, ma capaci di trasformare brutali delinquenti in eroi omerici, il male in bene e la violenza in giustizia in nome di una visione capovolta del mondo e della realtà. Anche di questa subcultura è rimasto vittima Giogiò. Non si esagera, perciò, se si afferma che sotto questo specifico aspetto i suoi funerali celebrati ieri sembrano annunciare una consapevolezza nuova, quasi l’anticipo di un’ausoicata svolta culturale. Diversamente, in quel «Napoli sei tu, non Gomorra» non si sarebbe immedesimata la folla che gremiva la chiesa e l’antistante Piazza del Gesù.

Monsignor Battaglia contro il «fujtivenne ‘a Napule»

Un’ansia di riscatto ben colta dall’arcivescovo Battaglia nel momento in cui non ha esortato a difendere la città, a restarvi nonostante tutto. Anche a costo di delegittimare l’incapacitante «fujtivenne ‘a Napule» lanciato oltre 40 anni da fa dal grande Eduardo. Ma più di ogni altra considerazione, conferma il nuovo clima il video, diffuso da Fanpage, in cui Roberto Saviano si produce addirittura in una excusatio non petita che, come si sa, si risolve spesso nella più autentica delle confessioni. «Si sente persino dire – ha infatti argomentato lo scrittore – che responsabili sarebbero le serie che raccontano di crimine. Beh, finiamola con questa banalità e con queste ricostruzioni così superficiali che sono una scorciatoia».

Lo scrittore: «La violenza non è il frutto delle serie tv»

Strana autodifesa, dal momento che nel suo best-seller Saviano sposa proprio la tesi che oggi ridicolizza. Lo fa raccontando dei giovani killer che sparano alla Scarface, cioè impugnando la pistola di piatto o dall’alto in basso per imprimere al proiettile una traiettoria più spettacolare che funzionale. Si vede che ha cambiato opinione. Comprensibile, del resto, alla luce del fatto che sulle serie esecrate dai familiari di Giogiò lui ci campa da pascià. Ma che il suo flauto magico incanti sempre meno e che il suo minimalismo sull’effetto emulazione sprigionato sui giovanissimi da Gomorra & affini sia sempre meno convincente, è certezza che si ricava anche da testimonianze autorevoli.

Ma l’esperta lo smentisce: «Gomorra influenza tutti»

Come ad esempio quella della psicologa Francesca Ferraro che, sollecitata tempo fa dal Corriere della Sera ad esprimersi sul tema, disse che il problema dell’emulazione, al contrario di quanto sostenuto dall’autore di Gomorra, non si limitava ai soli giovani «deviati» ma riguardava anche agli altri. «Sono quelli delle famiglie borghesi – spiegò l’esperta – che non solo si vestono e parlano come i personaggi della serie, ma spesso adottano anche un comportamento di prepotenza verso i coetanei, atteggiandosi a bulli perché incapaci di distinguere il bene dal male». Una confutazione in piena regola. E il grido lanciato ieri ai funerali di Giogiò ha dato ragione a lei e torto a Saviano.

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