Il racconto di Elay: «Per ore nascosto tra alberi e la fuga tra i cadaveri, così mi sono salvato»

11 Ott 2023 17:27 - di Redazione
elay

Nove ore nascosto tra alberi di avocado, i terroristi con i kalashnikov imbracciati tanto vicini da sentire i loro discorsi. Un messaggio alla famiglia, che pensava essere l’ultimo, per esprimere l’amore che provava per loro. E poi la fuga, scortato dai soldati israeliani, attraverso una strada disseminata di cadaveri di civili fino a una località sicura. È il racconto che il 23enne Elay Karavani fa ad Adnkronos di quel terribile 7 ottobre quando, insieme ad altri amici, si era recato nel deserto del Negev, pochi chilometri dalla Striscia di Gaza, per partecipare al rave preso di mira dai miliziani di Hamas.

Elay: qualcuno ha detto “colore rosso”

«Tutto è iniziato sabato notte, verso l’una, siamo arrivati al luogo del festival», racconta. «Ci stavamo divertendo tantissimo, eravamo circa 30 persone della stessa zona di Israele». Ma «all’improvviso alle 6 e 30 circa, la musica si è fermata e qualcuno ha preso il microfono e ha detto “colore rosso”, che significa che ci sono dei razzi in arrivo». A quel punto, ricorda Elay, «volevamo scappare. Così io e il mio amico siamo andati verso la macchina e abbiamo aspettato altri due amici che venivano con noi. Dopo circa 10 minuti li abbiamo visti, c’era però un’enorme fila di macchine che cercavano di scappare. Quindi abbiamo deciso che era meglio e più sicuro rimanere fuori dall’auto tra le dune e aspettare finché l’allarme non fosse finito».

«Abbiamo sentito subito gli spari degli Ak47»

Amante dei viaggi, Elay non frequenta molto il sud di Israele. «Molte persone che vivono nella zona meridionale ci hanno detto che sono abituate» al lancio di razzi e a Iron Dom che protegge l’area». Quel giorno, però, «dopo circa altri 20 minuti abbiamo sentito gli spari degli Ak47, abbiamo riconosciuto il suono. E abbiamo deciso che dovevamo scappare. Quindi siamo tornati in macchina, abbiamo saltato la fila e detto a tutte le persone intorno a noi che i terroristi erano nella zona».

Un ragazzo aveva in braccio una donna sanguinante

Incontrata la polizia, Elay ha chiesto chiarimenti su cosa stesse accadendo. In risposta ha ricevuto un «non lo so, ho ricevuto l’ordine di non lasciarvi andare, è pericoloso». Il pericolo era molto più vicino di quanto si potesse pensare perché, racconta il giovane, «un paio di minuti dopo abbiamo visto un ragazzo che teneva in braccio una donna sanguinante e priva di sensi. La sua amica piangeva e ci ha detto che erano in un rifugio vicino quando i terroristi sono arrivati e hanno lanciato granate all’interno. Due suoi amici erano stati uccisi».

«Con gli altoparlanti ci dicevano di correre»

Passano ancora una manciata di secondi e arriva l’avviso la polizia. «Con gli altoparlanti ha detto a tutti di correre verso est». Elay e i suoi amici hanno quindi iniziato a correre verso est. «Continuavamo a sentire gli spari dietro di noi, ma non ci siamo voltati indietro. Il nostro piano era di andare nella città più vicina perché pensavamo fosse sicura».

«Ci siamo nascosti sotto gli alberi»

Elay era insieme ai tre suoi amici e a «tre soldati disarmati sono venuti alla festa, un altro ragazzo e una ragazza». La fuga continua. «Dopo circa tre chilometri siamo arrivati a un punto in cui sentivamo spari ovunque e abbiamo deciso che l’idea migliore fosse semplicemente nasconderci da qualche parte», racconta. La scelta è stata quella di «dividerci in coppie» all’interno di «un campo pieno di alberi di avocado, ci siamo nascosti sotto gli alberi».

Il messaggio di Elay alla famiglia

Gli spari continuavano senza sosta, tanto che Elay ha deciso di mandare un messaggio alla mia famiglia «per dire loro che li amo, qualunque cosa accadesse. Pensavo che la nostra fine fosse vicina». Ancor più quando, dopo circa mezz’ora, «abbiamo sentito dei passi vicino a noi e persone che parlavano arabo. Abbiamo visto quattro-cinque terroristi a cinque metri da noi. Quindi abbiamo deciso di scappare dalla parte opposta il più velocemente possibile». Ed è in quel frangente che «ho perso due dei miei amici, la ragazza e il ragazzo. Siamo rimasti io, il mio amico e i tre soldati. Eravamo nello stesso campo e continuavamo a nasconderci».

L’esplosione e la battaglia

Tra i soldati, «uno ha chiamato il suo comandante e ha chiesto rinforzi. Dopo circa due ore i rinforzi si sono avvicinati, ma abbiamo sentito grandi esplosioni ed è iniziata un’enorme battaglia. Dopo un paio di minuti abbiamo sentito solo parlare l’arabo e il fuoco dell’ak47». Anche questa volta, «pensavamo, di nuovo, che fosse finita. Il mio amico ha ricevuto un messaggio WhatsApp da un pilota di elicottero che era sopra di noi e ci ha avvisato che c’erano molti terroristi nel campo, ma non vedeva movimenti. Ci ha detto di uscire e di salutarlo in modo che potesse inviare forze, ma noi abbiamo deciso che era troppo pericoloso. Siamo rimasti sotto l’albero, per circa 9 ore».

«Non potrò mai dimenticare»

«Dopodiché una squadra di cinque soldati è arrivata e ha urlato il nome di uno di noi. Siamo usciti. Abbiamo guidato per circa 40 minuti finché non siamo arrivati in un luogo sicuro. Tutto il percorso era pieno di cadaveri di civili uccisi nelle loro auto, ambulanze, agenti di polizia, soldati e cittadini che cercavano di nascondersi nei rifugi. Finalmente sono arrivato a casa alle 20., Non potrò mai dimenticare quello che ho vissuto».

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