Ron scarica i cantautori impegnati: “Non mischio musica e politica, il mio mito resta Lucio Battisti”

19 Ott 2023 18:50 - di Giovanni Pasero
Ron

«No: non mi ritengo, anzi non sono, un cantautore “impegnato”, come piaceva dire una volta… Non ho mai mescolato la musica con la politica o con l’ideologia, mai». Ron – che venerdì a Sanremo riceverà il ‘Premio Tenco’ alla carriera – ribadisce la sua posizione, intervistato dalla AdnKronos a proposito della posizione che un cantautore e più in generale un artista dovrebbe prendere davanti a tragedie come le guerre che, in Ucraina come in Medio Oriente, sono scoppiate.

«Ognuno deve fare quel che sa fare – risponde lapidario Ron – E nessuno deve sentirsi obbligato a fare qualcosa perché la fanno anche altri… Anzi, è deleterio seguire la ‘moda’ scimmiottando quel che fanno altri tuoi colleghi. Per quel che mi riguarda, ad esempio, ho voluto scrivere un brano, ‘Il mondo avrà una grande anima’, che parla di Mathias Rust, quel ragazzo svedese che partendo con il suo piccolo aereo da turismo riuscì ad arrivare e atterrare nella Piazza Rossa di Mosca: un ragazzo di soli 18 anni, che forza e che follia miracolosa!”. Un po’ come l’uomo con le buste della spesa in mano che fermò un carrarmato cinese nella piazza di Tienanmen a Pechino… «Esattamente. Ma scrivere un testo e comporre una canzone “politica” o “ideologica” no, questo no».

Se potessi resuscitare qualcuno? Lucio Battisti

«Se per miracolo avessi il potere di riportare in vita e sul palco uno dei tanti artisti che purtroppo ci hanno lasciato, resusciterei Lucio Battisti: ho sempre stravisto per lui, era il mio ‘totem’ musicale. Se poi potessi raddoppiare, la mia scelta cadrebbe sull’altro grande Lucio, su Dalla».

Ron racconta di quando a un concerto fu fischiato dai “compagni”

Poi ricorda quando fu fischiato dai compagni: «Unica eccezione la feci al tempo del colpo di Stato militare in Cile. Ci fu un grande concerto a Roma, al Palasport; c’erano Lucio Dalla, Francesco De Gregori e loro mi chiesero di venire anch’io a cantare. Accettai, ma sulle prime rifiutai, ‘che ci vengo a fare io?’ risposi. Però, avevo scritto una musica sul testo di una poesia di Pablo Neruda intitolata ‘I morti sulla piazza’: mi sembrava una cosa molto bella, ma quando la cantai arrivarono fischi allucinanti, al punto che il pubblico dal palco fu esortato, non da me, a smettere. Del resto, persino De Andrè e De Gregori ricevettero fischi ‘estremisti’ durante loro concerti, i tempi erano quelli… Comunque, pensai che anche i fischi aiutano a crescere». Fino a conquistare il ‘Premio Tenco’ alla carriera.

 

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