Accusare di deriva patriarcale l’Italia delle “donne al comando” è l’ennesimo delirio della sinistra
In Italia esiste il patriarcato? Esisterebbe proprio oggi che per la prima volta a governare è una donna, con un’altra donna che guida il più importante partito di opposizione e con una donna che presiede la Corte Costituzionale…
L’ondata di commozione per l’omicidio di Giulia Cecchettin ha portato a tutto questo, ad andare oltre la razionalità e, come accade sempre in Italia, a introdurre sistemi surrettizi che mettano in correlazione il fatto che ci sia la destra al governo e che per questo gli uomini ammazzano, come se non lo avessero fatto in abbondanza negli ultimi dieci anni in cui governava la sinistra.
Come se non lo facessero da decenni e, soprattutto, in posti dove storicamente il patriarcato non è mai esistito: in Germania, in Olanda, in Inghilterra, per non parlare degli americani. Tutte culture protestanti, detto per inciso.
Ora, sarebbe curioso capire perché, quando ancora regnava realmente una cultura patriarcale, quaranta, cinquant’anni fa, i femminicidi non esistevano, se non per gli sciagurati delitti d’onore che avevano una compensazione giuridica cessata solo nel 1981.
Sui femminicidi stiamo leggendo di tutto: la colpa è della famiglia ( che è stata di fatto cancellata come opzione primaria), della Scuola o semplicemente del fatto che ci siano i maschi.
Il problema è che nessuno indica una soluzione (che non c’è) ma offre letture sociologiche sorprendenti.
Cento anni fa nella cultura rurale le donne si rivolgevano con il “voi” al Pater familias. Cento anni fa, però.
Soprattutto nel Sud, laddove le condizioni economiche e il senso di una notevole esperienza di contaminazione araba, indicavano nel maschio la colonna portante del tessuto sociale.
Ma chi ha conosciuto l’esperienza del socialismo reale sa che nella vecchia Urss erano le donne a fare i lavori pesanti, trattate come carro da bestia.
Legare un fenomeno del genere a una sussistenza mentale di inferiorità di genere è sorprendente e triste.
Chi ha interesse a descrivere un quadro di società inesistente? Una minoranza – maggioranza che ha fatto del pensiero unico la sua fortuna.
La stessa minoranza che ha derubricato il ruolo del padre ( inteso come soggetto di autorevolezza e non di autoritarismo) a mera funzione biologica.
Perché se è innegabile che abbiamo ereditato secoli o millenni di dominazione maschile è altrettanto vero che siamo reduci da decenni di relativismo etico contrabbandato per libertà assoluta.
Da diversi lustri abbiamo dovuto raccogliere le narrazioni sulla droga libera e innocua, sulla libertà intesa come assenza di limiti, sulla necessità di secolarizzare qualsiasi ideale o utopia che non fosse quella del pensiero unico.
Non c’è discussione, dal clima ai femminicidi all’etica, che possa prevalere oltre il pensiero sigillato di generazioni che hanno sostanzialmente fallito nei processi di costruzione della società.
Ma questo work in progress separa due universi, quello maschile e quello femminile, che dovrebbero essere paralleli.
Crea contrapposizioni artate, pregiudizi, alimenta una sensazione di voler innescare uno scontro sociale che non serve a nessuno.
È successo per un altro grande argomento comune, la lotta alle mafie, divenuto strumentalmente di proprietà personale di una certa sinistra, con il risultato di una indifferenza generale causata dalla scarsa credibilità.
Intorno a operazioni di massa si costruiscono piccole fortune ma si genera l’effetto paradossale del distacco.
È paradossale, poi, che chi alimenta queste nuove crociate pretenderebbe di accogliere indiscriminatamente una marea di immigrati, quasi tutti islamici, che certamente hanno scarsa sensibilità verso i temi della parità di genere.
In un Paese nel quale si pensa ancora di essere cronologicamente in un’altra era, questa vulgata divisoria produce solo demagogia. Ma in fondo è l’unica cosa che serve per quella minoranza, ancora oggi avanguardia di un progressismo che non semina consensi e non induce a un ragionamento condiviso. Ed è davvero triste.