Chi era davvero il comandante Todaro, eroe del film che ha fatto infuriare il fan club della Rackete
Settembre 1940. L’Italia è al suo primo anno di guerra. Il capitano di corvetta Salvatore Todaro, comandante del sommergibile “Cappellini”, partito da La Spezia, deve raggiungere l’Atlantico, missione che non era riuscita, nel mese di giugno, al precedente comandante, Cristiano Masi. Todaro nel 1933 è stato vittima di un incidente durante gli esperimenti di uso degli idrovolanti come aerosiluranti: una lesione alla spina dorsale lo ha costretto a portare un busto per il resto della sua vita. Ma non ha voluto essere un invalido: è un uomo d’azione, l’amore per l’avventura e la morfina lo aiutano a stare in mare, l’affetto per la moglie Rina riesce a manifestarlo anche da lontano, con le lettere che le scrive.
Salvatore Todaro, il comandante amato dai suoi uomini
I suoi uomini lo adorano: sono una babele di dialetti italiani, si portano dietro le loro superstizioni catto-pagane per le quali a volte si accapigliano, ma non ci sono tra loro ammutinati, non ci sono disfattisti (il loro gioco preferito è tirare le freccette contro un ritratto di Churchill), e nel loro Comandante, severo ma giusto, trovano il centro che li unifica e li porta al di là di ogni “particulare”.
Cosa accadde la notte del 15 ottobre 1940
Todaro, scherzosamente chiamato “Mago Bakù”, ha del resto un suo magnetismo: è un sensitivo, pratica lo yoga, sa già perfino come sarà la sua morte. Di indecifrato, per lui, c’è solo un messaggio in greco antico, scrittogli su un foglietto che si porta dietro da uno strano sarto in veste di oracolo. Dopo alcune scaramucce con gli inglesi, Todaro e il “Cappellini” vanno incontro all’avventura che più di ogni altra darà loro una giusta fama: la notte del 15 ottobre, a largo dell’isola di Madera, viene avvistato un piroscafo che viaggia a luci spente, e che viene ritenuto nemico, anche perché è esso il primo a fare fuoco col cannone di poppa.
Due marinai belgi tentarono il sabotaggio
Si tratta del “Kabalo”, piroscafo belga: il Belgio è un paese neutrale, ma trasporta materiale bellico britannico. Todaro lo affonda, ma si mette poi subito alla ricerca della scialuppa dei naufraghi, e decide di trascinarla in salvo fino alle Azzorre. Sennoché, per ben due volte il cavo da trasporto si spezza, e Todaro alla fine, venendo meno alle stesse regole di sicurezza per il suo sommergibile, si assume la responsabilità di caricare i 26 naufraghi belgi sul “Cappellini”. Il comandante del “Kabalo” e soprattutto il suo secondo sviluppano una sincera ammirazione per Todaro, ma due marinai belgi tentano un sabotaggio, e verranno puniti da entrambi i comandanti .
“Perché siamo italiani”
Tra i due equipaggi si instaura un’atmosfera conviviale, e la fortuna vuole che gli inglesi, intercettato il “Cappellini”, costretto a navigare in superficie perché alcuni naufraghi devono essere ospitati nella torretta, accoglieranno positivamente il messaggio con la richiesta di lasciargli raggiungere le Azzorre, per portare in salvo i belgi. E sulla spiaggia di Santa Maria delle Azzorre si chiude la storia, con il secondo ufficiale del “Kabalo” che all’atto del congedo dice con sincerità a Todaro che al suo posto non si sarebbe comportato con la stessa generosità, e chiede dunque il perché di quel salvataggio; al che il nostro capitano risponde: “Perché siamo italiani”.
Il film tra verità storica e fiction
Il film, dovuto al regista Edoardo De Angelis e allo scrittore Sandro Veronesi (autore del libro con lo stesso titolo), e con Piefrancesco Favino efficacemente nei panni di Todaro ancorché non ne abbia i tratti fisici, cerca di raggiungere un equilibrio tra rispetto della verità storica e necessità della fiction, facendo convergere l’una e l’altra in un messaggio ideologico, su cui mi soffermerò più avanti. Circa il “vero”, va sottolineata innanzitutto la perfetta ricostruzione del “Cappellini”, avvenuta a Taranto con l’aiuto della Marina Militare, mentre dovuto alla ricerca di una maggiore efficacia scenografica è il cappello che indossa il Comandante, che non corrisponde a quello degli ufficiali della nostra Regia Marina.
L’eroismo del cannoniere Mulargia
Vittorio Marcon (Massimiliano Rossi) nel film appare come un secondo di Todaro, mentre in realtà ne era l’attendente. Vero è l’episodio del cannoniere Mulargia, il cui eroismo Todaro “decora” con il permesso di dargli del “Tu” (ma, seguito da “Comandante”), solo che tale episodio nella realtà avverrà nel periodo successivo a quello narrato dal film, quando verrà affondato il piroscafo inglese “Eumaeus” (12 gennaio 1941), azione di guerra in cui pure si situa la morte dell’eroico tenente Stiepovich, che nel film è situata entro uno scontro con un areo inglese prima ancora della vicenda del “Kabalo”; ma si tratta di scelte narrativamente felici, perché consentono di includere degli episodi belli e reali che un rispetto della cronologia effettiva avrebbe dovuto tralasciare.
Cosa disse davvero Todaro sul salvataggio dei marinai del “Kabalo”
Non si capisce invece perché il secondo ufficiale belga sia stato chiamato Jacques Reclercq se il suo nome era Henry Caudron. Quanto alla finale risposta a quest’ultimo: “Perché siamo italiani”, non appartiene al reale, comunque bel dialogo che effettivamente ebbe luogo tra i due uomini di mare, ma è la soluzione che gli autori del film hanno voluto trovare per inserire nel film lo stesso concetto che Todaro formulò in una frase che gli viene effettivamente attribuita, allorché dopo i fatti del “Kabalo”, a Bordeaux, sede di Betasom, gli venne detto quasi a mo’ di rimprovero che i tedeschi al suo posto non avrebbero salvato i naufraghi: “I tedeschi non hanno dietro di loro i nostri duemila anni di civiltà”.
Todaro era un cultore dell’esoterismo
In margine, è giusto dire che quella risposta venne data a un collega italiano, e non a qualche ufficiale tedesco e meno che mai, come pure si è fantasticato, all’ammiraglio Doenitz in persona, di cui peraltro è attestata la stima per Todaro e il riconoscimento ai comandanti italiani di sommergibili di un’audacia spesso superiore a quella dei tedeschi. Per finire col rapporto realtà-finzione, va precisato che appartiene alla seconda la pur bella storia dell’oracolo in greco antico, mentre verissima è la facies “esoterica” di Todaro, di cui sono largamente attestate doti telepatiche e ipnotiche, la pratica dello yoga e la predizione che non sarebbe mai morto se non nel sonno, come in effetti avvenne nell’isola di La Galite (Tunisia) il 14 dicembre del 1942, non più comandante del “Cappellini” ma del piropiroscafo “Cefalo”.
Una singolare eterogenesi dei fini
Non è senza rapporto con la “questione ideologica” la struttura piuttosto sbilanciata dei due tempi del film. Il primo, in cui appaiono anche delle scene di vita coniugale in cui qualche critico ha visto l’evocazione di un immaginario nazi-cavaniano, ha un bell’andamento tragico ed epico; il secondo, tutto dedicato all’episodio del “Kabalo”, indulge troppo in un registro basso, correndo il rischio di affondare il sommergibile in un mare di italianismo buonistico-macchiettistico nel sovrabbondante episodio delle patate fritte belghe cucinate dal cuoco napoletano in un clima di esagerato “vulimmece tutti bene” (ma non sono d’accordo con chi ha ascritto a questa dimensione, anche per via del “mandolino”, la scena in cui viene cantato ‘O surdato ‘nnamurato, che… ci poteva stare). Ma venendo alla “questione ideologica”, penso che nella storia di questo film si assista ad una singolare eterogenesi dei fini. Per ammissione stessa degli autori, l’idea di un racconto su Todaro nacque nel 2018, nel corso delle aspre polemiche sulle Ong allorché Salvini era ministro dell’Interno.
La vicenda di Todaro inizialmente usata contro Salvini
Il nome di Todaro fu allora fatto, a favore dei salvataggi in mare, dall’ammiraglio Giovanni Pettorino, e fu questa la scintilla che accese la curiosità verso il “Comandante” da parte di Sandro Veronesi, che condivideva con Roberto Saviano la posizione pro-Ong, Tutte le interviste a Veronesi, a De Angelis e a Favino sul film dal periodo di lavorazione fino alla sua presentazione il 30 agosto a Venezia (ma anche alcune che accompagnano l’uscita nei cinema) in effetti lasciavano intendere che per loro la figura storica di Todaro si riducesse quasi del tutto al suo ruolo di salvatore di naufraghi, con significato totalmente attualizzante. Da qui un immediato attacco, agli autori e al film, da parte della stampa di destra (ricordiamo per tutti Francesco Borgonovo: I parenti dell’eroe Todaro: “Non strumentalizzatelo: che c’entra lui con le Ong?”, in La Verità, 26.11.2022).
L’ira di Montanari: Todaro fascista, non si può celebrarlo
Sennonché, immediatamente dopo la prima veneziana, il film è stato mitragliato (la metafora militare è consona alla pellicola), con accuse quasi di tradimento, verso Veronesi in particolare, dal lato dell’estrema sinistra: su Il manifesto del 31 agosto appare la lunga recensione, “Comandante, italiani brava gente”, a firma di Cristina Piccini, secondo cui il film paleserebbe “strizzate d’occhio ai poteri ‘nuovi’ di cui non si sente proprio il bisogno”, e Todaro viene guardato dall’alto in basso come un personaggio da tenere alla larga: “un po’dannunziano, un po’ nietzschiano, un po’ uomo e un po’ macchina di marinettiana memoria, oltre quel bagaglio tipico del fascistello di filosofie orientali, cabale, esoterismi”. Sul Fatto del 4 settembre appare poi l’articolo La “nuova” cultura egemone: il puerile “italiani brava gente”, firmato dall’onnipresente Tomaso Montanari, il quale intende portare rinforzi a quella che definisce la “splendida stroncatura” della Piccini. Ne esce la delirante accusa alla Mostra di Venezia di aver aperto con Comandante “per festeggiare il primo governo di matrice fascista della storia della Repubblica”, veicolando due messaggi: “il fascismo ha fatto anche cose buone, gli italiani sono brava gente”.
La sinistra su tutte le furie
Per il professor Montanari Todaro fece un beau geste, ma “era, e rimase per sempre, un fascista”, e quindi non andava celebrato. In Germania, ci spiega sempre il nostro tuttologo, mai e poi mai avrebbero osato fare “l’apologia di un nazista buono”. A Montanari non va neanche giù che sia veicolata l’idea che “la bontà si può legare ad un’appartenenza nazionale”: per lui è una “bestialità” meloniana. Che il film sia stato concepito nel 2018, quando la Meloni forse neanche si sognava di diventare presidente del Consiglio e quindi non bisognava ingraziarsela, né Piccini né Montanari arrivano a capirlo. La prima peraltro fa cascare le braccia quando prende le difese dei due naufraghi che tentano di sabotare il sommergibile che li ha salvati, ma che è – parole dei personaggi – dei “porci fascisti” (nel film sono due, ma in realtà pare sia stato uno solo).
Il film non tradisce la figura di Todaro
Il 31 ottobre il film è andato finalmente nelle sale, e il pubblico – lo si vede sui social – sembra aver “promosso” il film. Il fatto è che non era possibile trasformare Salvatore Todaro in Carola Rackete senza tradirne totalmente la figura. Todaro fu un uomo di grande bontà e umanità, che ebbe come esempio ed amico il prete di Sottomarina monsignor Voltolina (il suo nome è citato nel film), benefattore dei poveri come lo fu lo stesso Comandante. Non c’è nulla di “costruito” nell’attribuirgli un richiamo costante a una “legge del mare” che impone di salvare i naufraghi, ma fu anche vero (e il film non lo nega e lo mostra rinunciando al benpensantismo di certa sinistra) che Todaro era animato da un forte sentimento di patria (scriveva alla moglie di combattere “per il nostro popolo che da secoli aspetta il posto a cui ha diritto nel mondo”), che amava la vita avventurosa e guerriera, che sapeva trasmettere questi sentimenti ai suoi marinai (vero che consegnava a tutti loro un pugnale, come si vede prima dell’imbarco notturno). Veronesi, De Angelis e Favino questo lo hanno capito e va dato loro atto di non averlo nascosto: il pubblico italiano sta apprezzando, e dalla sale esce migliore: rafforzato nel suo orgoglio nazionale e incoraggiato alla umanità. Dobbiamo lamentarcene?