Coppa Davis, gioia bipartisan. Ma 47 anni fa la “squadra” era divisa tra “Secolo” e “Manifesto”

27 Nov 2023 10:58 - di Luca Maurelli

“Il tennis è un gioco che non mi piace e non capisco”, pare che abbia detto sdegnosamente il Duce al presidente federale Turati quando fu invitato a indossare i pantaloncini a pinocchietto e a impugnare quella mazza di legno con un ovale finale fatto di una rete quadrettata che gli evocava più la caccia alle zanzare nell’agro-pontino che uno sport dignitoso nel quale ostentare la propria valenza fisica. L’inciucio storico, più che la leggenda metropolitana, narra però che Turati gli abbia risposto senza paura: “Non vi piace perché non lo conoscete, Eccellenza”.
Da lì, l’esperimento e il “colpo di fulmine” di Mussolini, sul campo privato a Villa Torlonia, dove il Duce imparò a palleggiare con Mario Belardinelli, futuro allenatore di Adriano Panatta, carismatico responsabile tecnico della squadra di Coppa Davis anche in quella finale di 47 anni fa a Santiago del Cile, dove l’Italia conquistò l‘Insalatiera che ieri Sinner & Company hanno riportato nel nostro Paese.
In quell’occasione, peraltro, Mario Belardinelli ebbe un ruolo decisivo nella scelta della Federazione di giocare quella finale nel Paese messo al bando dalla conunità internazionale a causa del  golpe del dittatore Pinochet. Belardinelli si battè come un leone durante un dibattito televisivo “contro” l’esponente comunista Ignazio Pirastu, che sosteneva la linea del boicottaggio, ma alla fine – anche grazie al capillare lavoro diplomatico del capitano non giocatore Nicola Pietrangeli -passò la linea dello “sport da tenere fuori dalla politica”. Paradosso finale, fu che poco prima che i giocatori entrassero in campo in maglia rossa (per dare un segnale politico di sinistra, nei racconti di Panatta, per pura casualità, secondo Barazzutti e altri) Belardinelli e Pietrangeli arrivarono quasi alle mani e il “maestro” di tennis di Mussolini fu ricoverato  in un ospedale cileno per medicarsi.

Altri tempi: quel racconto è affidato ai sopravvissuti, se fosse accaduta oggi la lite sarebbe finita  in un video di Tik Tok con una base musicale di Shakira… Altri tempi anche per le divisioni politiche, alla luce del sole, tra persone perbene, che non facevano mistero di stare su fronti opposti e non per questo si delegittimavamo, tantomeno nello sport. Se oggi, una volta tanto, il trionfo italiano nella Coppa Davis viene salutato con spirito bipartisan su entrambi i fronti politici, ieri accadeva che negli spogliatoi entrassero addirittura due giornali “nemici”, opposti, incompatibili, “Il Secolo d’Italia” e “Il Manifesto“. Lo ha raccontato lo stesso Adriano Panatta, nel bellissimo documentario “La squadra“, nel quale il grande giocatore italiano ricorda, col sorriso sulle labbra, della sua stima e del suo legame profondissimo con Mario Belardinelli, che neanche l’ostentazione delle diverse letture aveva mai incrinato. “Lui entrava nello spogliatoio col ‘Secolo d’Italia‘, io gli tiravo fuori ‘Il Manifesto’. E ci prendevamo in giro…”. E gli altri? Bertolucci era pià “liberale” e tendeva a destra,  Zugarelli si dichiarava “proletario” e veniva da una famiglia di sinistra…

Negli anni, però, Panatta deve aver anche un po’ cambiato idea: “Esibivo il Manifesto  solo per fare incazzare Mario Belardinelli, che era fascista. Sono sempre stato molto più moderato di quanto volevo far credere. Sono fondamentalmente un liberale progressista. Antifascista e anticomunista. Spero, come credo, che in Italia siano finite sia una cosa che l’altra”. ha detto recentemente Panatta in una intervista. E oggi, chissà, potrebbe perfino accompagnare Sinner e la “squadra” di Filippo Volandri a Palazzo Chigi, se arrivasse un invito…

 

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