Dal Washington Post a El Pais, la mostra su Tolkien fa il giro del mondo. La sinistra reagisce con astio
Dal Washington Post a El Pais passando per il Daily Telegraph, la mostra su Tolkien inaugurata allo Gnam di Roma il 15 novembre sbarca sui giornali stranieri come un caso culturale e politico per la presenza entusiasta della premier Giorgia Meloni. Il Washington Post tenta di esplorare in un lungo articolo i motivi che hanno fatto del papà degli Hobbit un autore di culto per la destra italiana e lo rintraccia nei Campi Hobbit che dal 1977 al 1980 portarono i militanti dell’allora Msi a superare lo stereotipo del neofascista violento. Quell’immagine anacronistica si trasformava nel pacifico Hobbit, una creatura che ama canti e feste, trascinato suo malgrado in un’avventura rischiosa e fantastica. La sinistra fu colta di sorpresa allora dai campi Hobbit e ancora oggi parla di appropriazione indebita di un anello che è di tutti.
La sinistra pentita non “molla” Tolkien alla destra
Un atteggiamento che maschera una sorta di pentimento di quell’area rispetto a un autore che i progressisti non possono amare e forse neanche capire. Vittorini lo lesse e lo trovò impubblicabile per Mondadori. Alfredo Cattabiani ne comprese subito la valenza. Tolkien risveglia nel lettore gli archetipi sopiti. Andava non solo pubblicato ma anche apprezzato. La differenza tra l’atteggiamento della destra e quello della sinistra è tutto qui, sta nella storia editoriale delle opere tolkieniane in Italia e si ripropone oggi dinanzi alla mostra voluta dal ministero della Cultura e rivendicata con orgoglio dal ministro Sangiuliano.
La cultura di destra non è il “mood telequattrista”
Diciamo che da quelle parti, dove si intruppa chi si ritiene detentore della cultura dinanzi a una destra rozza e ignorante, una mostra così ben fatta – che ha anche l’imprimatur della famiglia Tolkien erede dei diritti del professore di Oxford – sgretola gli stereotipi e procura allergie irritanti. Di qui la corsa della stampa antigovernativa, schierata saldamente a sinistra, a cercare di demolire un evento che sicuramente avrà il dovuto successo visto che Tolkien è ormai un autore pop amato da moltitudini di persone che non si pongono il problema dell’amore di Giorgia Meloni per Il Signore degli Anelli. La Stampa arruola anche una ex come Flavia Perina per dire che la mostra serve alla destra italiana per rigenerarsi dopo l’ubriacatura del berlusconismo. Una tesi che nasconde un risentimento ideologico non del tutto sopito: come si permette la destra di maneggiare contenuti culturali di livello? Dimenticando tra l’altro che l’area da cui Meloni proviene ha sempre trovato nella letteratura fantasy il terreno fertile dal quale ricavare miti, parole d’ordine, prospettive che mai hanno coinciso con quelle del berlusconismo o con quelle del “mood telequattrista” come scrive Perina (tra l’altro su Rete4 è approdata da poco la figlia di Berlinguer ma ciò non sembra avere intaccato gli schemi che guidano l’esegesi del giornale diretto da Malaguti).
Ma quando Tony Blair diceva di amare Tolkien non ci fu scandalo
Ancora più velenosa Repubblica, che nell’incontro tra Meloni e Pino Insegno (che è stato il doppiatore di Aragorn della trilogia di Peter Jackson e per questo era presente allo Gnam all’inaugurazione) sulle scale della Galleria vede addirittura “un meeting point della destra di potere e dei suoi beneficiati”. Eppure nel 2001 quando uscì il primo film del Signore degli Anelli ci fu la caccia ai politici tolkieniani: si scoprì che Tolkien era l’autore preferito di Tony Blair, era amato da Cossiga e Occhetto, era letto da Battiato e dal cardinal Biffi. Una passione letteraria dunque poteva convivere con l’orizzonte politico. Oggi pare che questo procuri ansie e vertigini. Che alimenti il cruccio di vedere la destra piantare le sue bandierine su un autore che tanto la sinistra non potrà mai amare e forse neanche comprendere a pieno.
Il nervosismo della sinistra in fondo è divertente
Avrebbero potuto assistere a quanto sta avvenendo, aspettando che sia il numero dei visitatori a decretare il successo o meno dell’evento. O avrebbero potuto cogliere nell’annuncio di Sangiuliano di voler fare una mostra anche su Antonio Gramsci il segno di una pacificazione culturale nel nome dell’inclusività del pensiero dei grandi. Invece nei talk show si rimprovera a Meloni di non avere visto la mostra di Calvino accanto a quella di Tolkien come se, per il fatto di essere premier, Meloni debba per forza rinunciare al diritto di scelta o come se esistesse una par condicio delle esposizioni. O, infine, come se fosse un reato preferire Tolkien a Calvino. Ma lo spettacolo che la sinistra sta offrendo, ostentando nervosismo e alzate di sopracciglio, non è meno interessante – a questo punto – di una passeggiata alla Galleria Nazionale d’arte moderna dove, fatalità, sono custoditi anche i quadri astratti del barone Julius Evola.