E in Italia quale fu la storia editoriale del libro? Lo racconta con eccezionale supporto di documenti Oronzo Cilli – curatore della grande mostra di Roma – nel suo recentissimo studio Tolkien e l’Italia (ediz. Il Cerchio) che contiene anche gli appunti inediti del viaggio che lo scrittore fece nel nostro Paese nel 1955, insieme con la figlia Priscilla, facendo tappa a Venezia e ad Assisi. La prima parte della trilogia tolkieniana, La Compagnia dell’Anello, fu pubblicata in Italia nel 1967 da Ubaldini, casa editrice “di nicchia”. Il destino dell’opera sarebbe stato diverso se Mondadori non avesse rifiutato la pubblicazione nel 1955.
Eppure il parere di lettura di Ruth Domino-Tassoni era molto favorevole: il libro, a suo avviso, riprendeva «una delle antiche funzioni della letteratura: raccontare meraviglie e portare i lettori oltre i limiti della loro esistenza quotidiana». Mondadori visionò il libro nuovamente nel 1962 e nuovamente rifiutò di pubblicarlo. Dietro la scelta, il giudizio di Attilio Landi che parlò di costruzione mitologica artificiosa e soprattutto quello di Elio Vittorini: «Il successo del tentativo richiederebbe la forza di un vero e proprio genio (che Tolkien dà prova di non essere) e la convalida di una attualità (cioè che il libro implicasse la metafora di qualche attualità), ma ciò non si verifica affatto». Qui non siamo ancora al rifiuto ideologico di Tolkien, tuttavia non se ne apprezza quella sua “fuga dal reale” che era considerata dall’autore come un pregio e non come un difetto. Vittorini, peraltro, fu colui che – da direttore della Einaudi – rifiutò di pubblicare Il Gattopardo e Il dottor Zivago…
Fu la casa editrice Rusconi a far conoscere Tolkien al lettore italiano
L’ideologia è subentrata dopo – come sottolinea Gianfranco De Turris nella prefazione al libro di Cilli – e cioè quando nel 1970 Il Signore degli Anelli uscì in un unico volume, con la prefazione dello studioso di esoterismo Elemire Zolla, per la casa editrice Rusconi, all’epoca diretta da Alfredo Cattabiani, e ritenuta una centrale della cultura di destra. La circostanza, che non fu certo casuale, contribuì a far nascere la leggenda di un Tolkien paladino della cultura dell’irrazionale. La casa editrice Rusconi – citata esplicitamente dalla rivista Rinascita come un «pericolo da non sottovalutare» – pubblicava autori certo non allineati alla fede progressista: da Florenskij a Jünger, da Cristina Campo a René Guénon, da Mircea Eliade a Hans Urs von Balthasar.
Gli Anni 70, imprigionati nella cappa del conformismo ideologico di sinistra, ma favorirono la stessa adozione degli Hobbit da parte dei giovani di destra: un autore fantasy e guardato con sospetto dalla sinistra era quanto di meglio fosse a disposizione per gruppi ostracizzati e demonizzati. Allo stesso tempo il popolo pacifico degli Hobbit si prestava a meraviglia a infrangere l’icona truce del fascista picchiatore. Ma questa è tutta un’altra storia.