
Il racconto dell’orrore di due sopravvissuti al massacro del rave: la festa, le urla e quei 30 km tra gli spari
La musica. La festa. E la gioia di stare insieme che si interrompono di botto al fragore degli spari. Con le urla che arrivano da ogni direzione. E quella corsa folle e disperata in cerca di una salvezza impossibile per moltissimi di loro, freddati durante un fuga senza via d’uscita. «Era la festa più bella a cui fossi mai stato, ma il divertimento tutto a un tratto si è trasformato in un incubo». È passato un mese dall’attacco di Hamas al rave party nel deserto del Negev, in cui sono morti almeno 260 giovani. Tra questi sette amici fraterni di Shlomi Shushan e Amit Arusi, 21enni originari di Petah Tikva, vicino a Tel Aviv. I due, accolti oggi dalla Comunità ebraica di Milano per testimoniare il dramma che hanno vissuto il 7 di ottobre, hanno descritto i momenti, i rumori e gli echi di quella carneficina a cui sono scampati correndo per 30 chilometri, mentre i terroristi sparavano loro addosso.
Massacro al rave, il racconto dell’orrore di due sopravvissuti
Il racconto però inizia dalla sera del 6 ottobre, quando insieme agli amici hanno raggiunto il rave nel deserto. «Aspettavo quel momento tra tre mesi. Era una festa bellissima, era tutto perfetto, c’era un’atmosfera incredibile, tutti si abbracciavano e stavano insieme. Poi all’improvviso alle 6.30 abbiamo sentito dei forti boati, ma abbiamo pensato che fossero fuochi d’artificio. Abbiamo alzato tutti lo sguardo al cielo, ma non si vedeva nulla», racconta Shlomi. «A quel punto – prosegue il 21enne – abbiamo pensato fossero razzi. Allora ci siamo messi a terra. Sono arrivati dei poliziotti e ci hanno detto “perché state qui? È un attacco terroristico, scappate”».
La musica e la festa, poi gli spari e le urla all’improvviso
E così hanno fatto i due amici, a piedi, il più velocemente possibile. «Abbiamo corso 30 chilometri, mentre ci sparavano addosso. Io ho fatto il militare, ma in quel momento ero disarmato. È stato frustrante, avevo molta paura», dice Shlomi. «Le immagini che più mi rimarranno impresse – aggiunge Amit – sono le persone terrorizzate e i feriti che imploravano aiuto, ma ognuno pensava a salvare se stesso».
I sopravvissuti al massacro del rave: «Abbiamo corso 30 km tra gli spari»
Uno dei due amici ha raggiunto l’insediamento di Tidar, l’altro quello di Patish. Lì i genitori, a cui nel frattempo avevano chiesto aiuto al telefono, li hanno raggiunti in auto. «Quando siamo saliti in macchina, però, abbiamo realizzato che non eravamo ancora in salvo: l’auto era stata colpita da spari, i nostri genitori per venirci a prendere erano passati dalla zona in cui c’erano i terroristi. E la stessa strada l’avremmo dovuta rifare per tornare a casa», racconta Shlomi, 21enne sopravvissuto all’attacco di Hamas al rave nel deserto del Negev. Lui e il suo amico Amit sono riusciti a mettersi in salvo. Ma non è stato così per 7 ragazzi della loro comitiva, uccisi il 7 ottobre.
«Ora vogliamo vendicare il sangue versato dai nostri amici»
«Io sono un riservista. Il mio comandante mi ha detto che ora non posso andare a combattere, perché sono ancora sotto choc. Ma io voglio assolutamente farlo, per rivendicare il sangue dei miei amici che sono stati uccisi», dice Shlomi all’Adnkronos. «Hamas va assolutamente sradicata», è la convinzione del 21enne, che tiene a precisare che le persone uccise il 7 ottobre non erano militari, come sostiene l’organizzazione palestinese: ma civili. «Abbiamo dei filmati e delle testimonianze di donne incinta e bambini ammazzati. Un nostro amico sopravvissuto nascosto sotto un’auto ci ha raccontato che mentre era lì rifugiato ha sentito di come hanno torturato e squarciato le donne», riferisce il superstite. In un racconto dell’orrore che non conosce fine e limite all’inimmaginabile…