Nelle Regioni il “premierato” c’è già: la sinistra partecipi al processo costituente
Vi dò una notizia: un “premierato”, con elezione diretta, l’Italia ce l’ha già e da quasi un quarto di secolo; il bello è che funziona, funziona benissimo: è il modello dei presidenti delle regioni, eletti direttamente dai cittadini, varato nel 1995 (la legge n. 43) e poi perfezionato quattro anni dopo in base a un’intesa bipartisan sinistra-destra. Parlo dei “governatori” e non dei sindaci perché le regioni sono enti che legiferano, con funzioni normative, non di mera amministrazione come i Comuni, anche se la scelta popolare del primo cittadino, vanta 30 anni di positiva esperienza.
Quello “scambio” tra Tatarella e Mattarella: protagonisti di riforme bipartisan
Protagonisti di uno scambio “repubblicano”, ad altezze politico-istituzionali oggi rare, furono Pinuccio Tatarella, numero uno bis della destra allora guidata da Fini e l’attuale inquilino del Quirinale, Sergio Mattarella, allora maior del centrosinistra. Lo scambio si sostanziò con la legge elettorale maggioritaria al 75% e proporzionale per il 25% che ebbe come relatore l’attuale capo dello Stato. Da qui il compromesso “repubblicano” tra Mattarellum, il sistema elettorale per Senato e Camera (leggi 276 e 277 del 1993) e Tatarellum – la nuova disciplina per le regioni, relatore il copilota di An – votati da destra e sinistra; insieme. Un passaggio che sancì la fine della Prima repubblica e l’inizio difficoltoso della Seconda. L’intesa creò un quid ancora riscontrabile: ogni qualvolta si svolge un evento che ricorda Tatarella, scomparso prematuramente nel 1999, il presidente Mattarella assicura la sua partecipazione; il “compromesso” creò anche un solido rapporto umano tra i due, che spesso in politica é garanzia di reciproca affidabilità.
Il consiglio di Franceschini alla Schlein: non possiamo dire solo no al premierato
Non so se Dario Franceschini alludesse a quell’idea di accordo, ma il suggerimento ad Elly Schlein – quel “noi non possiamo dire solo no” al premierato di Giorgia Meloni – di un uomo navigato come l’ex ministro della Cultura che ha guidato il Pd, va di sicuro in quella direzione. Un consiglio saggio ai dem, anche nella prospettiva di un referendum confermativo che il centrodestra trascinato dalla Meloni, stando ai sondaggi oggi avrebbe buone possibilità di vincerlo. La via di un patto istituzionale converrebbe anche alle opposizioni che non lascerebbero al solo centrodestra e in particolare alla premier, il merito di una riforma costituzionale storica che metterebbe fine al “male oscuro” per dirla con Berto – le “strade non sono mai perfettamente piane nella città di Roma”: lo scrittore aveva più ragione di quanto credesse – della democrazia italiana: le frequenti crisi con cambio dei governi e dei premier che ci rappresentano in Europa e nei vertici internazionali. Se il maggiore partito della sinistra, tallonato da Giuseppe Conte, vuole garanzie, al di là della propaganda farebbe bene a tornare al suo specifico di cultura presidenzialista che pure ha nel suo “depositum fidei”.
La cultura presidenzialista abbandonata dalla “gauche” e la Bicamerale D’Alema
Oltre al Tatarellum, l’elezione diretta dei sindaci – il sindaco d’Italia, é la felice definizione coniata da Renzi – e le posizioni favorevoli al semi-presidenzialismo francese nella Bicamerale guidata da Massimo D’Alema. E non ultimo l’immaginario, sempre presente nelle pagine scritte e mentali della sinistra, di grandi presidenti della gauche, come fu indubbiamente Francois Mitterrand. E come aspira ad essere – a modo suo, anche se il paragone regge poco – Emmanuel Macron, punto di riferimento della sinistra moderata, da Renzi, a Gentiloni, allo stesso Franceschini. Il Macron – fa sorridere lo Zagrebelskj su Repubblica che titola col “colpo di grazia al sistema parlamentare” – che ha varato la sua avversatissima riforma delle pensioni, passando sopra il Parlamento, come gli consente la Costituzione della Quinta Repubblica, il famigerato articolo 49, terzo comma, il quale permette al governo di adottare un testo legislativo senza approvazione della Camera. Tornando a noi, mettendoci nei panni della sinistra, cosa potrebbe chiedere la Schlein in cambio del premierato?
Premierato: uno statuto costituzionale delle opposizioni?
Io credo un punto di difficile rigetto da parte della controparte: uno statuto dell’opposizione. Cioè una costituzionalizzazione dentro la stessa riforma, del ruolo della minoranza e del del suo “capo”; la previsione di “diritti” dell’opposizione nella nostra Carta costituzionale, per le minoranze di oggi e di domani e quindi a turno per chi perderà le elezioni ma potrà contare su prerogative che ne fanno un polo essenziale per una democrazia dell’alternanza. E ne fanno, soprattutto, un perno del sistema di check and balance in cui iscrivere l’elezione diretta del capo del governo. Anche questa idea, lanciata a suo tempo a destra dai banchi dell’opposizione, potrebbe essere una soluzione condivisa.
Pd e M5S partecipino alle riforme. La lezione di Salvi: con l’elezione diretta nessun rischio per la democrazia
Certo, c’è da lavorare, ma lo spazio c’è per fare in modo che anche Pd e Cinque Stelle – Conte dovrebbe ricordare che la Meloni votò la “sua” riduzione del numero dei parlamentari targata M5S – partecipino a questo rinnovato processo costituente della Repubblica. Ma per arrivare a questo obiettivo é necessario che a sinistra si esca dall’equivalenza mentale elezione diretta uguale autoritarismo. Un complesso del quale non era affetto la generazione precedente all’attuale della sinistra della quale facevano parte Mattarella, D’Alema, Violante e appunto Franceschini. E uno attrezzato di diritto e cultura politica come Cesare Salvi, che da relatore sulla “Forma di Governo”, nella Bicamerale che fu, mise nero su bianco che l’elezione diretta in Europa “non ha dato luogo a degenerazioni plebiscitarie o a pericoli per la tenuta democratica del sistema istituzionale. Non si comprende dunque perché solo l’Italia, e con essa il popolo italiano, dovrebbe fuoriuscire dal quadro europeo dominante; né credo si possa dire che l’elettorato italiano, in cinquant’anni di elezioni politiche e di referendum, abbia mai dato prova di comportamenti irrazionali o si sia mostrato facile preda di suggestioni demagogiche.” Già. Ecco: la sinistra torni alla lezione di Salvi; non si chiuda e giochi la sua partita col centrodestra al tavolo della democrazia italiana che cambia se stessa.