Aids: impennata di contagi da Hiv. L’infettivologo Gori: “In Italia disinformazione e sottovalutazione”
Dopo un decennio in calo costante, in Italia i contagi da Hiv sono tornati a crescere. Premesso che “i dati dell’Istituto superiore di sanità che raccontano di questa risalita sono da prendere con cautela” perché “la pandemia ha falsato molti dati”, la verità è che “quello dell’Aids purtroppo è un dato sottostimato: con il Covid la gente è andata poco a fare i test e di conseguenza ci sono state meno diagnosi. Ora c’è una sorta di rimbalzo, ma è significativo che vi sia un aumento dei casi tra la popolazione sessualmente più attiva, tra i 25 e i 50 anni. Ci si sta infettando di più che in passato, soprattutto tra chi non ha vissuto l’epoca dei morti di Aids”. All’origine “c’è molta disinformazione. E non solo sui media, ma nelle scuole, in famiglia. C’è una sottovalutazione del problema che ha conseguenze dirette con l’aumento dei contagi”.
Questa l’analisi di Andrea Gori, presidente di Anlaids Lombardia e direttore dell’Unità di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, in un’intervista a ‘La Stampa‘ in occasione della Giornata mondiale dell’Aids che si è celebrata ieri, 1 dicembre. “Il 63% delle nuove diagnosi – sottolinea l’esperto – viene fatto su persone che hanno una malattia in stadio avanzato. Il che vuol dire due cose: uno, che queste persone sono del tutto ignare o inconsapevoli dell’infezione; due, che se ne sono accorte solo quando hanno iniziato a stare male”. I sintomi, spiega Gori, si manifestano “normalmente dopo 10 anni e questo è il vero problema, perché significa che se uno non lo sa, per almeno 10 anni tiene alta la circolazione del virus”. Per scoprirlo in tempo, “l’unica è sottoporsi ai test con regolarità. Perché quando si scopre di avere l’Hiv in ritardo è un disastro”. In stadio avanzato “possono esserci febbri, cali ponderali, strane polmoniti. E’ importante