Atreju, Campi smonta le letture “qualunquiste”: lì il racconto di una comunità aperta al mondo. A sinistra invece…

18 Dic 2023 12:00 - di Viola Longo
campi atreju

In un puntuale editoriale sul Messaggero, il politologo Alessandro Campi ha analizzato, mettendole in parallelo, Atreju, la “briosa” festa di FdI, e “L’Europa che vogliamo”, l’incontro “a metà tra il seminario accademico e il congresso di partito” promosso dal Pd e raccontato da certa stampa come l’anti-Atreju. Lo ha fatto andando oltre i “vecchi e banali stereotipi” con i quali le due occasioni sono state raccontate, utilizzando piuttosto la circostanza delle due kermesse per dare una lettura scevra da tentazioni “moralistiche” del momento politico e “psicologico” nel quale si trovano “due storie politiche legittimamente diverse e democraticamente alternative”. Il quadro che ne emerge è quello di una forza, FdI, caratterizzata da un grande dinamismo, che le consente di “stare nel mondo”, a fronte di un’altra, il Pd, avviluppata su se stessa e le sue piccole beghe.

La distanza siderale tra Meloni e Schlein

Campi, dopo aver messo a paragone la diversa aria che si respirava nelle due feste, ha fissato l’attenzione sugli interventi delle due leader: “Meloni, dinnanzi al suo gruppo dirigente, ha rivendicato il successo di una storia personale e collettiva segnata, nelle sue parole, da coerenza ideologica, impegno militante e spirito di sacrificio. La Schlein, chiamando a raccolta tutti i vecchi maggiorenti del Pd, ha puntato ad accreditarsi come la legittima continuatrice di una storia che, per ragioni più ideologiche che generazionali, in grande parte ancora non è la sua”. Da un lato la destra che “si è goduta gli onori” dello stare al potere, “senza nascondersi (almeno si spera) le responsabilità che ne derivano”; dall’altro la sinistra, “non abituata a stare all’opposizione” e in più “alle prese con tensioni interne legate alla stabilità della leadership”, che “ha dimostrato di star vivendo al momento un senso di frustrazione più forte dei propositi di rivincita elettorale”. Meloni federatrice del centrodestra dopo Berlusconi; Schlein che “prima di allearsi organicamente con il M5S, deve ancora federare tutto il suo partito intorno a sé”.

Campi mette in guardia dalle letture “polemico-qualunquiste” su Atreju

Il professore di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia nel suo editoriale ha quindi messo in guardia dal liquidare con una “lettura semplicistica di sapore vagamente polemico-qualunquista” il corposo programma dei lavori di Atreju, che non è stato una “simbolica prova di forza, anche a danno degli alleati”, ma “il racconto di come, nel giro di pochi anni, è cambiata una comunità politica essendo nel frattempo cambiato il mondo”. Dalla festa, ha proseguito, insieme al richiamo alle radici, “sono emersi altri elementi, che confermano quanto sia culturalmente miope ammesso sia politicamente efficace voler inchiodare un partito che ormai veleggia intorno al 30 per centro dei consensi alla formula, più vaga che esplicativa, del populismo a sfondo inevitabilmente autoritario e antimoderno”.

Il vero significato della presenza di Elon Musk e dei leader europei: “Significa stare nel mondo”

“Costruirsi mediaticamente una destra di comodo sempre brutta, sporca e cattiva non aiuterà la sinistra a sconfiggerla”, ha sottolineato Campi, soffermandosi sul vero significato politico di quel “gran colpo mediatico” che è stata la presenza di Elon Musk ad Atreju. “Avere come interlocutore uno come Musk non significa essere fuori dal mondo, ma stare nel mondo, anche quando esso può non piacere”, ha spiegato, aggiungendo poi che la presenza di leader stranieri come i premier albanese Edi Rama e britannico Rishi Sunak e del leader dei “nazional-conservatori spagnoli” Santiago Abascal, “non rappresenta solo una trama di alleanze dettata da opportunismo o ragioni tattiche, ma la conferma che nella politica odierna la dimensione geopolitica globale è quella decisiva e determinante in termini di strategie, valori e obiettivi”.

Quello che Giorgia Meloni ha capito e messo in pratica

“Le partite vere”, dalla crisi energetica alle migrazioni, fino ai conflitti, ha sottolineato Campi, non si giocano sul piano della politica interna e delle sue diatribe, ma “su un altro piano, su altri temi e con altri attori”. Meloni, che era stata disegnata come colei che avrebbe isolato l’Italia sulle scenario internazionale, ha dimostrato non solo di averlo capito, ma di essere capace di “un attivismo diplomatico-negoziale inaspettato, che ha favorito nella sua destra, giudicata provinciale se non impresentabile, revisioni e relazioni largamente impreviste nel segno di un sano realismo”. Le scelte a sostegno dell’Ucraina, la presa di distanza dal “seducente soft power cinese”, l’atlantismo, l’impostazione di un nuovo rapporto con i Paesi dell’area mediterranea, le relazioni con i vertici dell’Ue e con gli altri Stati membri, “segnati anche da tensioni e contrasti, ma sempre mantenendo la negoziazione tra i differenti interessi statual-nazionali entro il perimetro simbolico-istituzionale dell’Unione”, stanno lì a testimoniarlo.

Il solco tra l’europeismo praticato dal premier e quello declamato da Schlein

“Nel suo intervento conclusivo ad Atreju – ha quindi commentato Campi – la Meloni ha anzi rivendicato l’europeismo come un’aspirazione storica della destra italiana, purché declinato nella forma politica secondo lei corretta: il disegno di un’integrazione cooperativa di nazioni libere e sovrane opposto alla visione di un super Stato accentratore dominato dalle burocrazie di Bruxelles”. Dunque, “non un attacco subdolo all’Europa e ai suoi valori, come hanno subito chiosato i suoi critici. Ma, per dirla con Elly Schlein, “l’Europa che vogliamo”, vista da destra invece che da sinistra”, ha concluso Campi, rimandando la parola definitiva sul tema alla volontà degli elettori che si esprimerà alle europee di giugno.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *