Mes, altro che ripicca o follia: il video di Meloni che smonta le fake della sinistra. Con 4 anni di anticipo
Dalla presunta ritorsione verso Francia e Germania per il Patto di stabilità alla surreale notazione di Romano Prodi per cui “in politica esiste anche la follia”, la sinistra dà oggi le più fantasiose spiegazioni al no del governo e del Parlamento alla ratifica della riforma del Mes. Eppure basterebbe attenersi ai fatti per riconoscere che non si tratta né di infantilismo né di mancanza di senno, ma di una posizione coerente con l’analisi che Giorgia Meloni per prima ha sempre fatto del Mes, della sua riforma e dell’impegno economico ingentissimo cui obbligherebbe l’Italia e che ammonta a 125 miliardi, rispetto ai quali non c’è alcuna certezza che il Parlamento possa intervenire. Dunque, se di “cappio al collo” si vuole parlare, come ha fatto Giuseppe Conte, lo si deve fare in senso opposto a quello indicato dal leader M5S: non messo, ma evitato.
Già nel 2019 Meloni avvertiva sulla “fregatura mondiale per l’Italia”
Già alla fine del novembre 2019 l’allora leader di opposizione Meloni avvertiva sui rischi del Mes. Gli Stati europei erano nel pieno delle trattive per la riforma del Meccanismo, sui cui avrebbero raggiunto un accordo di massima di lì a pochi giorni. “Il Fondo salva stati è una fregatura mondiale per l’Italia che nessun presidente del Consiglio può permettersi di sottoscrivere senza chiedere al parlamento italiano cosa ne pensi. Si tratta di impegnare l’Italia per 125 miliardi di euro per salvare le banche tedesche”, diceva Meloni in un punto stampa coi cronisti di cui si trova facilmente il video. “Non so se si possa risolvere a livello giudiziario, ma credo – disse tra l’altro – che sia giusto fare tutto quello che possiamo per impedire che questa vicenda si chiuda così. C’è il serio rischio di una patrimoniale, un domani, sugli italiani”.
Il modo in cui la riforma del Mes ci può obbligare a sborsare 125 miliardi
Da allora ci sono stati il Covid e le guerre e la situazione rispetto al rischio di dover impegnare risorse così ingenti anche a dispetto degli interessi nazionali non si è certo semplificata, mentre è rimasta intatta la rigidità della riforma del Mes. Dei 125 miliardi, l’Italia, terzo contribuente dopo Francia e Germania, ne ha già versati 14. La quota complessiva si chiama “capitale autorizzato non versato”. La riforma del Mes prevede in ultima istanza, attraverso vari passaggi che si fanno via via sempre più scivolosi e che coinvolgono solo gli organi di gestione dello stesso Mes, che “i membri si impegnano incondizionatamente e irrevocabilmente a versare” il capitale autorizzato non versato. C’è chi sostiene che la circostanza di essere obbligati a sborsare tutti quei miliardi difficilmente potrebbe realizzarsi nella realtà, e ciononostante sta là scritta nero su bianco e si chiede di sottoscriverla. In questo contesto, non è fatto alcun riferimento al ruolo che potrebbero – ma sarebbe meglio dire “dovrebbero” – avere i Parlamenti nazionali, che resterebbero dunque o esautorati tout court o nella condizione di non potersi esprimere liberamente su quei miliardi richiesti, poiché un no sarebbe una violazione fatta e finita di un trattato internazionale.
La fake della sinistra sul fatto che l’Italia blocca il Mes
Dunque, esattamente i rischi illustrati da Meloni ormai anni fa – poi ribaditi nel tempo – non appena si delineò il nuovo indirizzo del Mes, che, vale la pena ricordarlo, con la contrarietà italiana non si blocca, non si cancella, non decade. Semplicemente resta nella sua formulazione iniziale di fondo salva Stati e non di fondo salva banche. È, anche questa, una circostanza ben nota. La riforma del Mes, ha ricordato stamattina ad Agorà su Rai 3 il capogruppo di FdI al Senato, Luico Malan, “è soprattutto volta a salvare le banche in difficoltà. Il fatto è che le banche in difficoltà non sono quelle italiane. Tutt’al più quelle a rischio sono magari quelle francesi e tedesche”. “Siamo contrari” alla riforma del Mes “perché riteniamo che non sia nell’interesse degli italiani, perché tende a imprimere quell’austerità che abbiamo visto non ha avuto successo, perché non ha ridotto il debito, ma lo ha fatto aumentare a suo tempo. Noi siamo sempre stati contro questa riforma del Mes, perché un Mes c’è tuttora in vigore, operativo come fondo salva Stati”, ha chiarito.
L’importanza del contesto ricordata da Meloni
Lo stesso premier lo ha ricordato non più tardi di una decina di giorni fa a Elly Schlein, che sosteneva che la nostra contrarietà bloccasse i partner europei. “Forse non sa che il Mes esiste, chi lo vuole attivare lo può tranquillamente attivare. Forse bisogna interrogarsi sul perché, in un momento in cui tutti facciamo i salti mortali per reperire risorse, nessuno vuole attivarlo: questo sarebbe il dibattito da aprire”, ha detto Meloni, domandando anche perché la sinistra nei suoi anni di governo non abbia ratificato il Mes. Il premier inoltre ha anche avvertito sul fatto che “non si può parlare del Mes se non si conosce il contesto. Un governo serio tiene conto del contesto e in quel contesto fa calare gli strumenti, perché parliamo di strumenti e non di totem ideologici. Quando saprò qual è il contesto in cui mi muovo saprò anche cosa bisogna fare del Mes”.
Perché anche la spaccatura nella maggioranza è una bufala
E il contesto è, per esempio, quello tenuto presente da Forza Italia e Noi Moderati, che pur favorevoli al Mes e non ostili alla sua riforma si sono astenuti. Si tratta di un altro argomento sul quale molto l’opposizione e certi analisti si sono esercitati, parlando di spaccatura nella maggioranza. In realtà, anche qui basta attenersi ai fatti: sia Antonio Tajani, sia Maurizio Lupi hanno infatti sottolineato la necessità di rivedere il Mes nell’ambito delle trattative complessive europee, con specifico riferimento a quella sull’Unione bancaria e alle modifiche alla riforma del Mes nel senso del coinvolgimento dei parlamenti nazionali ed europeo. Questioni su cui anche il premier si è ampiamente espresso.