Acca Larenzia, la lezione di Mughini agli antifascisti: contano le vittime, non i saluti romani
Giampiero Mughini interviene sulle polemiche suscitate dal rito del Presente, con annesso saluto romano, ad Acca Larenzia e riporta la vicenda ai suoi fondamentali: la pietà verso i giovani missini assassinati, “vittime innocenti” verso le quali ogni “cittadino repubblicano” dovrebbe avvertire il “dovere” del ricordo. Il resto, è il senso del suo ragionamento, è marginale e attiene a una ritualità che in lui non suscita “il benché minimo sussulto antifascista”. “Ho solo la commozione di ricordare la loro sorte”, scrive Mughini, in una lettera aperta a Dagospia.
Mughini rimette al centro Bigonzetti, Ciavatta e Recchioni, cancellati dal “putiferio antifascista”
Ed è proprio dalla sorte di Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni che parte la riflessione di Mughini, che dà tutta l’impressione di volerli far riemergere dal fragore di quel “certo putiferio antifascista” che invece li ha del tutto cancellati. Mughini ne ricorda l’età: vent’anni Bigonzetti; diciotto Ciavatta; diciannove Recchioni. Ricorda che sono stati uccisi sì nello stesso luogo e nella stessa giornata, ma in due momenti, due circostanze e da assassini diversi: Bigonzetti e Ciavatta “assassinati a freddo da un nugolo di terroristi di sinistra di cui non si è saputo mai più nulla”, mentre “si apprestavano a distribuire un volantino che reclamizzava un concerto tenuto da un gruppo musicale di destra”; Recchioni “successivamente negli scontri con la polizia”. Una scena, ricorda, che “mi è stata vividamente raccontata dall’allora diciottenne Francesca Mambro, il cui destino assieme criminale e drammatico era stato orientato da quell’episodio”.
Acca Larenzia: “La più clamorosa e brutale azione delinquenziale compiuta dal terrorismo di sinistra”
“Di tutte le azioni delinquenziali compiute dal terrorismo di sinistra nei confronti di ragazzi di destra quella di Acca Larentia resta forse la più clamorosa, persino più del brutale agguato al diciannovenne milanese Sergio Ramelli, che ci si misero in cinque ad annichilirlo a colpi di catene di bicicletta”, scrive ancora Mughini, sottolineando di aver assistito con piacere al fatto che alla commemorazione sia andato anche l’assessore Miguel Gotor, “per dire di un uomo del Pd che stimo”. “Idealmente parlando – ha chiarito il giornalista – c’ero anch’io a quella commemorazione, com’è dovere di un cittadino repubblicano quando ci sono da ricordare delle vittime innocenti. E nella mia memoria non conta che le vittime innocenti fossero state di destra o sinistra. Erano vittime innocenti, punto e basta”.
Il ricordo della “larvata guerra civile tra ventenni” che attraversò l’Italia
Quanto al “punctum dolens, quella marea di braccia levate nel saluto romano nel gridare ‘Presente’ alla pronunzia dei nomi di quei poveri ragazzi”, Mughini sembra persino tediato di doverne parlare: “Sì, sì, lo so che è un contrassegno del fascismo e che la nostra Costituzione non lo gradisce affatto. Da questo a dirne che è un segnale che tramortisce e offende ‘l’antifascismo’ duro e puro ce ne passano di chilometri”. “Ho visto le foto di quei militanti missini o ex missini che levava il braccio. La buona parte – sottolinea – gente oggi vicina ai sessant’anni e che magari erano stati compagni di idealità dei giovani missini assassinati a Roma. Quel braccio levato è innanzitutto un omaggio alla loro giovinezza e alla sua drammaticità, al fatto che c’era allora una larvata guerra civile tra i ventenni italiani dell’una o dell’altra parte”.
Mughini: “I saluti romani non mi suscitano sussulti antifascisti. Ho solo commozione per la sorte di quei poveri ragazzi”
“Me la ricordo bene, benissimo, quella guerra civile. Me lo ricordo l’odio cieco da cui eravamo segnati gli uni e gli altri”, prosegue, raccontando di quella volta “che io e il giovane Benito Paolone (a Catania era il leader della Giovane Italia) venimmo espulsi entrambi dall’aula di un liceo dove si stava tenendo non ricordo più quale dibattito, e dove noi due stavamo urlando a squarciagola l’uno contro l’altro. Me lo sono ritrovato davanti Paolone trenta o più anni dopo e l’ho subito abbracciato. La nostra parte in commedia l’avevamo fatta, solo che quella commedia – la guerra civile fra i ventenni italiani – era bella e finita e per fortuna nessuno ammazzava più nessuno”. “Per tornare ad Acca Larentia – chiarisce quindi Mughini – non ho il benché minimo sussulto ‘antifascista’ nel vedere i nomi di quei poveri ragazzi del gennaio 1978 salutati dal braccio teso dei loro camerati di allora. Ho solo commozione a ricordare la loro sorte. E qualcuno non ci provi a farmi lezioni di antifascismo, una materia – conclude – in cui per la biografia intellettuale e morale che ho non accetto lezioni da nessuno”.