Le nuove follie linguistiche di Bruxelles: vietati “virile” e “stridulo”. Dire “fratello e sorella” non va bene
Non si può più parlare liberamente, attenti a come usate gli aggettivi e, soprattutto l’ordine in cui li usate. Una nuova follia proviene dall’Unione europea. E’ contenuta in 61 pagine di linee guida che indirizzano i legislatori a superare il «linguaggio di genere». Qualche “perla”. L’aggettivo «virile» non va bene, è associato solo agli uomini, non è inclusivo, dunque meglio sostituirlo con termini come «energico» o «forte». Nel nuovo manualetto politicamente corretto non va bene, ad esempio, l’aggettivo «stridulo», il motivo è bizzarro e anche offensivo: secondo l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) e la sua direttrice, Virginija Langbakk, quell’aggettivo avrebbe una connotazione esclusivamente femminile. Meglio usarne uno più neutro come «acuto».
L’ordine di Bruxelles: abolire le parole dove compare il maschile “man”
Per una comunicazione sensibile al genere, si intitola il nuovo documento partorito dalla burocrazia europea. Altri esempi: la “terra di nessuno”, espressione usata a partire dalla prima guerra mondiale per indicare lo spazio tra due trincee nemiche, non andrà più tradotto con «no man’s land»; meglio usare unclaimed territory», ossia «territorio non reclamato» o «non rivendicato». Nn fosse mai che quel “man” potesse suggerire odore di patriarcato… E infatti, vediamo che la guerra a quella parolina è il fulcro del discorso. Anche la locuzione «best man for the job», che significa «l’uomo migliore per il lavoro», espressione usata per indicare la persona è più adatta per una certa posizione, va bandita. La parola «man» – se ancora non si fosse capito – va sostituita con sostantivi neutri, come «candidate». Per lo stesso motivo altri termini sono sotto accusa: per indicare la forza lavoro non si deve più usare «manpower». E il tecnico riparatore non può più essere definito «repairman». Il nuovo “vangelo” linguistico prescrive, rispettivamente, «workforce» e «repairer».
Ue, le linee guida per l’uguaglianza di genere dell’Eige
Ancora: l’aggettivo «bossy», che significa autoritario (dal termine «boss», capo) meglio dimenticarlo e sostituirlo un aggettivo più soft, con «assertive». Siamo alla follia. Virginija Langbakk, che è a capo dell’ Istituto europeo per l’uguaglianza di genere suggerisce anche altro. Secondo i dettami di questo istituto che vorrebbe insegnarci a parlare secondo un pensiero unico e neutro si arriva a bollare le frasi che hanno reso celebri molti film. Per esempio, in Star Trek: la frase «to boldly go where no man has gone before» ( arrivare coraggiosamente dove nessuno è mai giunto prima) è un esempio di linguaggio sessista: sarebbe un esempio in cui «le donne potrebbero essere soggette a invisibilità o omissione», ci ammonisce Virginija Langbakk.
Mai più dire “fratello e sorella”, “re e regina”…
Poi arriva il gran finale: attenzione all’ordine delle parole usate da secoli in una sequenza che non ha mai offeso nessuno: non va più detto «re e regina», «fratello e sorella»: mai più il maschile per primo. Ora il “nuovo ordine” sarà “regina e re”, “sorella e fratello”. Fondamentalo, no? Follie linguistiche, certo. Del resto, per giustificare l’esistenza di un istituto centrato sull’ortodossia lessicale, qualcosa si deve pur produrre per mascherarne l’inutilità, la follia.