L’intervista. Malagola: “I cattolici Pd sono subalterni, ma era chiaro che sarebbe finita così: di cosa si lamentano?”

31 Gen 2024 14:58 - di Annamaria Gravino
cattolici pd

Si dice “sorpreso” del fatto che i “cattolici del Pd si lamentino della situazione in cui si trovano”. E spiega che in realtà per i cattolici non esiste una difficoltà a trovare una “casa”: “Io vengo dal mondo cattolico e mi sento pienamente a casa in FdI, in quanto partito dei conservatori, quindi di quell’area vasta che può rappresentare quella nuova sintesi politica tra la destra tradizionale, il cattolicesimo liberale e il riformismo”. Per Lorenzo Malagola, deputato di FdI di solidissima estrazione cattolica, insomma, per raccogliere le istanze di quel mondo non serve un nuovo partito di centro, del quale ora si torna a parlare di fronte ai turbamenti della componente cattolica dem dopo il caso veneto del fine vita.

Onorevole, il disagio dei cattolici Pd viene da lontano e oggi incontra tutti gli elementi per riacutizzarsi. Perché si dice sorpreso?

Proprio perché viene da lontano: i cattolici Pd hanno deciso di allearsi con gli eredi del Partito comunista e da questa crasi è nato quello che Augusto Del Noce preconizzava sarebbe diventata la “triste Italia”, cioè un partito radicale di massa.

Secondo lei, perché non hanno visto quello che sarebbe accaduto?

Perché sono figli di una cultura politica progressista che ha pensato di mitigare l’ideologia comunista nelle varie forme che via via ha preso storicamente, fino ad arrivare al Pd progressista di Elly Schlein, ma non si sono resi conto che sono stati a loro volta contaminati da quell’ideologia, rispetto alla quale oggi si sono ridotti a essere una semplice foglia di fico.

Crede che un partito di centro possa essere il loro approdo?

Io credo che oggi la priorità sia la costruzione di un partito conservatore che sappia interpretare, nell’epoca post berlusconiana, le istanze del ceto medio, dell’Italia produttiva, delle famiglie e dei corpi intermedi. Che è quello che fa FdI.

In una recente intervista le è stato chiesto su quale terreno comune si possano ritrovare i cattolici impegnati nei diversi partiti e lei ha parlato di parità scolastica e partecipazione dei lavoratori all’impresa. Di temi etici non si può parlare?

I temi etici rappresentano il fondamento di ogni visione politica, in quanto esprimono la concezione antropologica che sta alla base di un progetto politico ed entità partitica. Ma il punto è che loro su questo hanno abdicato. Abbiamo visto quello che è accaduto in Veneto sul fine vita, una cosa da Partito comunista sovietico o cinese. Lì rispondevo a una domanda sulla possibilità di punti di sintesi per un lavoro comune. Mi pare evidente che sui temi etici i cattolici di sinistra ormai siano totalmente subalterni alla cultura dominante progressista.

Però stiamo qui a parlarne proprio perché ci sono stati il “caso Veneto” e le reazioni che ne sono seguite…

C’è stato il sussulto della consigliera Bigon, ma non mi sembra che ci siano stati gesti di protesta particolarmente significativi da parte della classe dirigente nazionale del Pd, al di là di qualche dichiarazione alle agenzie di stampa, intendo.

Lei è di Milano, l’estate scorsa l’arcivescovo Delpini ha posto la questione delle divisioni dei cattolici in politica al centro di un suo intervento. E ha detto, cito testualmente: “Se dobbiamo ragionare del fine vita, dell’immigrazione, della giustizia, dei giovani, dei temi di sensibile impatto etico, possiamo essere divisi?”. Eppure pare che anche un appello così autorevole non abbia smosso granché…

Sì, è caduto nel vuoto. La dottrina sociale della Chiesa è assolutamente chiara nella difesa della dignità della persona, quindi non c’è ambiguità dal punto di vista dei principi ai quali un cattolico laico impegnato in politica dovrebbe riferirsi. In una parte del cattolicesimo progressista, quella dei cosiddetti “cattolici adulti” per usare un’espressione di Prodi, c’è invece il convincimento che il dialogo con la modernità debba prevedere un inevitabile cedimento al mainstream culturale. Mi chiedo allora dove sia quell’originalità che i cattolici dovrebbero portare nel dibattito pubblico e nell’agone della politica, se sono i primi ad allinearsi alle dinamiche del potere dominante.

Mi sta dicendo che anche fra i cattolici ideologia woke batte dottrina sociale della Chiesa?

In alcuni. Ma la vittoria dell’ideologia woke è apparente, falsa. In Paesi come gli Usa, dove ha preso piede da più tempo, già registriamo una protesta crescente a destra e da parte di intellettuali anche non cattolici, che si rendono conto di come sia violenta e contro la dignità umana. Il punto, allora, non è difendere una posizione confessionale, ma riaffermare il buon senso e la ragione.

Lei è il relatore della proposta legge per la partecipazione dei lavoratori alle imprese, a che punto sono i lavori?

Siamo in sede referente in Commissione e puntiamo ad arrivare in Aula per la fine di febbraio o gli inizi di marzo. Questa proposta di legge potrà dare finalmente piena attuazione all’articolo 46 della Costituzione. Oggi affrontiamo la sfida di costruire – nell’epoca post Covid, dell’intelligenza artificiale e delle grandi transizioni – un nuovo mercato del lavoro che abbia come tratto distintivo non più la contrapposizione dei decenni passati, ma la collaborazione e la cooperazione tra impresa e lavoro, imprenditori e lavoratori. Non c’è solo la conferma dell’attenzione di questa maggioranza e di questo governo al lavoro, c’è una visione. Che è diversa da quella che sottende a misure come il reddito di cittadinanza o il salario minimo per legge: la partecipazione creerà le condizioni per aumentare con meccanismi virtuosi la produttività delle imprese e, quindi, per alzare il livello retributivo.

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