Ammiriamo il contadino perché ha a che fare con le sostanze viventi. E’ un eroe del nostro immaginario

3 Feb 2024 8:54 - di Annalisa Terranova
contadino

Fiero di essere contadino. C’era scritto così su uno degli striscioni piazzati sui trattori ribelli che stanno invadendo le piazze europee. Una fierezza di cui i farmers in rivolta si fanno vanto (la nostra fine è la vostra fame, si leggeva in un altro dei cartelli inalberati). E c’è infatti che proprio questa fierezza, questo modo d’essere del contadino “cervello fino” è incardinato nell’immaginario europeo grazie anche a opere letterarie immortali,  ci rendono simpatici i coltivatori al di là degli eccessi di ricorrenti jacqueries.

La nuova jacquerie contro il green deal

Quella francese della metà del ‘300 aveva sempre al centro la questione della sopravvivenza: le tasse imposte dal regno di Francia significavano sacrifici troppo duri esattamente come il green deal voluto da Bruxelles. Gli eccessi dell’agricoltore però non riescono a rendercelo antipatico, perché nella sua fatica e nel suo lavoro scorgiamo una sorta di età perduta – il rapporto autentico con la natura e con la terra – che noi postmoderni metropolitani abbiamo perduto forse irrimediabilmente.

Tolstoj e la figura di Levin in “Anna Karenina”

Non c’è grande scrittore che non abbia esaltato la vita contadina. Prendiamo il Levin di Anna Karenina. Tolstoj ne fa un monumento di saggezza e di passione. Levin, proprietario terriero che non disdegna di mettersi a falciare con i suoi contadini, esprime il carisma di chi lavora la terra  creando un armonico fluire in cui fatica, lavoro e tempo si fondono insieme. Certo c’è bisogno di una penna geniale per esaltare questo tipo di figure. O della visione poetica. Come fa D’Annunzio ne La sera fiesolana, poesia che si apre proprio con la figura di un contadino che “s’attarda a l’opra lenta/su l’alta scala che s’annera/contro il fusto che s’inargenta/con le sue rame spoglie“.

Verga e i contadini della novella “Libertà”

Ma nella nostra storia della letteratura abbiamo anche il realismo fatalistico di un Giovanni Verga che conclude la sua novella Libertà, ispirata dalla rivolta di Bronte, sancendo il destino finale di ogni ribellione violenta: alla fine il mondo va come sempre è andato.  “Tutti gli altri in paese erano tornati a fare quello che facevano prima. I galantuomini non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i galantuomini. Fecero la pace. […] Ormai nessuno ci pensava; solamente qualche madre, qualche vecchiarello, se gli correvano gli occhi verso la pianura, dove era la città, o la domenica, al vedere gli altri che parlavano tranquillamente dei loro affari coi galantuomini, dinanzi al casino di conversazione, col berretto in mano, e si persuadevano che all’aria ci vanno i cenci”. Ossia solo i più deboli ci rimettono.

I contadini di Pasolini e Pennacchi

Il marxismo ha disprezzato la visione idilliaca del contadino, preparando il terreno agli espropri di Stalin. Ma la visione del coltivatore come archetipo dell’uomo inserito nelle regole del cosmo resiste nel tempo: ne fanno fede gli scritti di Pasolini o l’epopea della palude redenta dei romanzi di Antonio Pennacchi. E non manca nelle novelle di Pirandello, come nel racconto Il vitalizio dove si narra la storia del povero Maràbito, un anziano agricoltore della piana di Girgenti che non riesce a lasciare la sua terra, dove ogni albero, ogni animale, ogni tralcio di vite e persino ogni filo d’erba, gli parlano e gli appartengono come fossero tanti cari figli. Allontanatosi dalla sua terra ogni volta va a rimirarla con le lacrime agli occhi.

Schumacher e la rivalutazione dell’agricoltura

Nel 1973 il filosofo ed economista Schumacher diede alle stampe il classico “Piccolo è bello” dove si metteva sotto accusa il produttivismo occidentale che si basava sullo sfruttamento. In quest’ottica l’autore rivalutava “il giusto uso della terra”. Al centro di questa visione rivalutava l’agricoltura come attività che deve soddisfare a tre requisiti: mantenere l’uomo a contatto con la natura viva, umanizzare un più vasto territorio per l’uomo, produrre il cibo e le altre materie necessarie a un conveniente modo di vivere. L’agricoltura, che ha a che fare con la vita, con le sostanze viventi, ragionava Schumacher, sarà sempre migliore dell’industria, che ha a che fare con sostanze artificiali. Sarà per questo che la figura del coltivatore attirerà sempre la nostra simpatia?

 

 

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