Giuseppe Bottai: due libri a confronto sul gerarca definito la “migliore mente del regime”
Di Giuseppe Bottai, uno dei più importanti e discussi gerarchi del Ventennio, si è scritto che fu “un fascista critico” (Giordano Bruno Guerri); “l’uomo migliore del regime fascista”, secondo Giorgio Bocca, e “la migliore mente” del regime secondo Ruggero Zangrandi; “onesto e incorruttibile, coerente ed integerrimo” per Vittorio Gorresio. Queste essenziali citazioni danno il senso immediato della complessità del personaggio.
Al punto che Ugoberto Alfassio Grimaldi, certamente non uno storico “nostalgico”, in premessa al libro di Giordano Bruno Guerri, “Giuseppe Bottai un fascista critico” (Feltrinelli, 1976) così arrivava a parlarne: “Bottai è integralmente fascista e nel contempo intelligente, colto e onesto, non ha l’animo del conformista, è convinto della superiorità del metodo dialettico. Siamo al livello più alto”.
Sgombrato il campo da certe banalizzazioni in voga, la figura di Bottai resta come un problema aperto, dal punto di vista dell’interpretazione storica. Tanto che ancora oggi, a cent’anni dagli avvenimenti che lo videro tra i protagonisti, due recenti libri, a lui dedicati, possono animare il dibattito, proponendone una lettura tutt’altro che omogenea.
Il primo testo, autore Angelo Polimeno Bottai (Mussolini io ti fermo, Guerini, Roma 2023), sembra volere cavalcare l’idea del “pentitismo” del gerarca fascista, del quale l’autore è il nipote, descritto come una sorta di resistenzialista non dichiarato: squadrista di prima linea, in occasione della Marcia del ’22, ma“figura alternativa” all’interno del nascente regime, al punto da pubblicare testi di autori antifascisti, da organizzare la “Resistenza dell’arte” per sottrarre oltre diecimila capolavori agli appetiti di Hitler, da criticare l’alleanza con il Terzo Reich, fino ad arrivare ad essere tra i promotori dell’ordine del giorno che, il 25 luglio del 1943, determinò la fine di Mussolini e del fascismo.
La questione in realtà è un po’ più complessa. Basti ricordare i ruoli apicali occupati da Bottai (sottosegretario e poi ai vertici del Ministero delle corporazioni, estensore della Carta del lavoro, governatore di Roma, ministro dell’educazione nazionale), il suo ruolo di organizzatore culturale interno al fascismo, la sua sostanziale acquiescenza rispetto alle leggi razziali (1938), opponendosi – come scriverà Galeazzo Ciano – “a qualsiasi attenuazione dei provvedimenti” e diventandone il puntuale esecutore nella scuola italiana, con la conseguente espulsione degli studenti e dei professori ebrei. Volendo espiare queste sue responsabilità arrivò all’arruolamento nella Legione Straniera, quale soldato semplice, e l’impiego in prima linea contro i tedeschi. Una scelta certamente esemplare, che tuttavia non cancella il suo percorso precedente, il suo ruolo apicale all’interno del fascismo, rispetto al quale molto c’è ancora da studiare e da approfondire, facendo parlare, più che i sentimenti o la volontà di edulcorarne la figura, le “carte”.
È quanto fa Lino Ulderico Cavanna, autore di “Critica Fascista”, un discorso interrotto (Passaggio al Bosco, Firenze 2024). La frase, posta, a mo’ di esergo, in copertina, dà chiaramente il senso dell’opera: L’italica, originale, ardua e necessaria “terza Via” tra Capitalismo e Marxismo. “Critica Fascista” fu la rivista quindicinale, fondata da Bottai nel giugno 1923, che accompagnò, per un ventennio, l’evoluzione politica e intellettuale non solo del suo direttore, ma anche di buona parte dell’intelligencija fascista, soprattutto quella giovanile.
Alla base della rivista la volontà di “creare quella classe nuova di dirigenti di cui il Fascismo ha urgente bisogno per sostituire l’antica” (Proponimento, “Critica Fascista, 15 giugno 1923).
Come specifica, in premessa del suo libro, Cavanna, “uno dei motivi per cui ‘Critica Fascista’ è importante per uno studio approfondito sul Fascismo è che essa fissa nelle sue pagine molti momenti ed istanze d’un tipo particolare di Fascismo; d’un tipo di Fascismo che, senza azzardare troppo, possiamo definire di ‘sinistra’”. Lungo questa “linea” l’autore di “Critica Fascista”, un discorso interrotto svolge un lavoro sistematico, scandito da una serie di approfondimenti sulla figura di Bottai, sul fascismo di “Critica Fascista”, sulla sua nascita e sui diversi periodi che scandiscono la vita della rivista.
Il primo periodo, compreso tra il 1923 ed il 1926, è caratterizzato dalla “battaglia revisionista”, segnata dalle nuove responsabilità di governo del fascismo e dal passaggio dalla fase movimentista, della lotta e del manganello, a quella – scrive Cavanna – “della penna e del legislatore e della dottrina dell’intellettuale”. E’ l’appello bottaiano ad una disciplina viva e dinamica, in grado di suscitare nuovi valori ed una gerarchia all’altezza delle sfide in atto.
Il secondo periodo (1927-1932) è incentrato su una più radicale battaglia sociale, fissata nel superamento del rapporto classico di tipo liberalistico, per schiudere, attraverso la “terza via” corporativa, il graduale accesso delle masse al potere.
Il terzo periodo (1933-1935) rappresenta un “raffreddamento” delle istanze social-rivoluzionarie, segnate, dopo il Congresso di Ferrara (quello della “Corporazione proprietaria”, teorizzata da Ugo Spirito), dalle preoccupazioni degli ambienti industriali e dal ridimensionamento da parte di Mussolini delle istanze corporative.Non per questo mancheranno le puntuali analisi bottaiane, con uno spirito ed una forza polemica non banale. Scrive, denunciando i limiti delle corporazioni, il direttore di “Critica Fascista”: invece di diventare un valido istituto “di coordinamento, di disciplina, di revisione, di emanazione programmatica delle direttive da seguire nelle varie congiunture”, si trasformeranno invece in “doppione, una superfetazione giuridica, un tumore organizzativo (…), senza scopo , superflue, pleonastiche, ingombranti” (Giuseppe Bottai, “Il binomio Fascio-Sindacato”, “Critica Fascista”, 15 maggio 1933).
Con il quarto ed ultimo periodo (1936-1943) per la rivista si può parlare di una sorta di “normalizzazione” politico-istituzionale, segnata però da un maggiore dinamismo in ambito letterario ed artistico, con una vera propria “cooptazione” degli intellettuali non-fascisti, ma non ancora antifascisti, molti dei quali, nel dopoguerra, si ritroveranno sotto le bandiere del Partito Comunista.
Di ogni periodo Cavanna analizza lo dispiegarsi, cita gli autori più significativi, mette in evidenza i tratti caratteristici, riconsegnandoci il valore di una stagione comunque fervida di confronti, di dibattiti, di aspettative sociali e politiche, spesso tradotte in azioni concrete, in atti legislativi, come l’autore puntualizza in appendice.
Nel ventennale impegno rappresentato da “Critica Fascista” Bottai emerge per il suo realismo e per la sua capacità di dare risposte non velleitarie alle aspettative rivoluzionarie, con richiami inusuali, visto il contesto, ad un possibile collegamento tra Rivoluzione francese e fascismo, ai rischi di una deriva “di destra”, al vecchio problema della borghesia, ancora ferma sulle posizioni dell’”Italietta”, gretta e sospettosa: temi peraltro ben presenti, durante il Ventennio, in molte pubblicazioni giovanili e sindacali, dei quali Bottai seppe farsi carico. Non è certo un caso, in questo ambito, la presenza sulla sua rivista (1934-1941) della rubrica “Stoccate” (raccolta da Mario De Fazio e pubblicata, nel 2020, da Passaggio al Bosco) firmata da Berto Ricci, impegnato in una lotta senza quartiere al capitalismo internazionale e ad ogni forma di borghesia e classismo.
Guardando a Ricci, Paolo Buchignani si interrogò, giusto trent’anni fa, su Un fascismo impossibile (Il Mulino, 1994). Oggi, a leggere il ponderoso e documentassimo saggio di Cavanna “Critica Fascista”, un discorso interrotto si può, al contrario, parlare di un “fascismo possibile”, critico e creativi, incarnato da una figura esemplare quale fu Giuseppe Bottai. Tra luci ed ombre una imprescindibile “chiave di lettura” del Ventennio.