L’intervista. Susanna Campione: “Fragilità e violenza, lo schema perverso alla base dell’orrore di Palermo”

12 Feb 2024 14:56 - di Antonella Ambrosioni
Susanna Campione

“Fermiamo questa carneficina”. La senatrice di Fratelli d’Italia Susanna Campione è stata la prima a lanciare il grido di dolore, domenica. La strage familiare di Palermo ha lasciato sgomenti. La senatrice è un avvocato che da anni si occupa della violenza domestica. Conosce bene le dinamiche dei drammi e dei  delitti efferati che si consumano all’interno delle famiglie contro le donne. E’ prima firmataria a riguardo di un disegno di legge – poi confluito nel dl Roccella – . Eppure la strage di Altavilla Milicia che ha visto morire per mano di un uomo oltre alla moglie anche i suoi due figli per lei rappresenta un punto di non ritorno.

Senatrice, la sentiamo particolarmente provata dalla furia omicida che la strage di Palermo pone allo sgomento di tutti. Lei è impegnata in prima persona nel contribuire a spezzare questa catena di orrori essendo componente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio. Non basta? 

Guardi, da avvocato mi sono sempre occupata di procedimenti giudiziari che hanno visto le donne vittime di violenza. Eppure questo nuovo orrore mi lascia sgomenta e perplessa. Sembra che questa carneficina non si fermi mai, che sia un problema irrisolvibile. Nonostante tutti gli strumenti che sul tema abbiamo posto in essere sia da un punto di vista processuale che culturale. Il dl di FdI ha recepito anche molte sensibilità delle proposte di altre forze politiche. Per cui siamo tutti d’accordo eppure siamo tutti impotenti di fronte a questa scia di sangue.

Che cosa ricava da questa ennesima carneficina? Si sta indagando sul filone della setta, sul fanatismo religioso dell’omicida, su un ipotetico esorcismo. Lei che idea si è fatta?

L’ipotesi setta religiosa non è altro, a mio parere, del sintomo di uno stesso dramma alla base di omicidi come questo e altri del passato. Ossia l‘estrema fragilità psicologica delle persone che è una delle chiavi principali per approcciarsi a tali delitti. Chi entra in una setta e si fa condizionare nei comportamenti denota, del resto, grande fragilità. Del resto, io sono in polemica con coloro che liquidano casi come questi con il solito “non era in sé”. Lo si è detto anche di Filippo Turetta, assassino della sua ex fidanzata, Giulia Cecchettin. Questa asserzione non può essere una giustificazione, una scorciatoia. Bisogna prendere atto che la cattiveria e la crudeltà esistono. Così come esiste la fragilità, elemento su cui auspico una riflessione profonda, per rispondere alla sua domanda “cosa fare?”.

La fragilità degli uomini, intende?

Sì, c’è una grande fragilità. Noi donne in questi anni abbiamo fatto  passi avanti notevoli che ci hanno indotto a una elaborazione del nostro processo di autodeterminazione. Alcuni uomini di fronte a questo hanno dimostrato di essere sprovveduti, di non essere stati al passo dei mutamenti. E usano la violenza come risposta alla loro inadeguatezza. E’ la risposta che purtroppo si verifica nei casi limite: “Ti elimino”.

Questa fragilità va sicuramente messa sotto osservazione con più vigore. Su quale altro aspetto occorre lavorare?

Sull’empatia, di cui sono totalmente privi questi individui che lasciano scie di sangue sul loro cammino. Se solo avessero sentore del dolore senza rimedio che causano le loro azioni, capirebbero l’orrore in cui stanno per precipitare. Per questo sono una fautrice del lavoro che la scuola può fare sull’insegnamento dell’empatia. Il ruolo della scuola è fondamentale. Lavorare su questo aspetto significa parlarne il più possibile, in classe, nei convegni. Occorrerà sempre tenere alto questa tematica nel dibattito pubblico.

L’ignoranza quanto incide?

Guardi, per certi delitti efferati non ci sono fasce sociali, aree geografiche o fattori culturali che tengano. Sono fenomeni trasversali. Sento spesso parlare anche di violenza economica. Anche in questo caso non sono d’accordo. Lo schema è un altro.

Quale schema?

E’ lo schema maltrattante-maltrattato, come lo definisco, che si ripete nel tempo. Il primo ha bisogno della vittima per esistere. E la cerca, la insegue.

La vittima non si accorge di essere diventata tale? 

Spesso no, purtroppo. Le donne spesso si colpevolizzano e reiterano un comportamento passivo, nella convinzione di non potersi sottrarre.

E’ evidente che nella società si sono create ferite che non appaiono facilmente sanabili. Lavorare su fragilità, empatia e poi?

E poi vorrei che le persone non si voltassero dall’altra parte in presenza di comportamenti che giudicano violenti, ambigui, scorretti. Sarebbe auspicabile maggiore sensibilità per rompere il muro dell’indifferenza. Dall’ incontro di tutti questi tasselli si potrà trovare una forma di contrasto.

 

 

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