Orma – Roma
Orma
Via Boncompagni, 31/33 – 00187 Roma
Telefono: 06/8543182
Sito Internet: www.ormaroma.it
Tipologia: ricercata
Prezzi: menù degustazione: 120/150€, piatti 28/48€, dolci 20€
Chiusura: Domenica e Lunedì
OFFERTA
Lo chef colombiano Roy Caceres è tornato al fine dining a quattro anni dalla chiusura di Metamorfosi. E lo ha fatto in grande stile con il nuovo locale Orma, nato sulle ceneri di un precedente ristorante su Via Boncompagni, una zona ricca di alberghi e uffici. L’offerta di Orma, infatti, è divisa in pranzo, aperitivo e cena, proprio per consentire a chi lavora in zona di fare una pausa raffinata e di gusto. Noi lo abbiamo provato di sera, quando la cucina di Caceres dà il meglio di sé, con un menù à la carte che non prevede la solita distinzione tra le portate, bensì un elenco di piatti dai nomi alquanto criptici che possono essere scelti nell’ordine che si vuole; in alternativa ci sono due percorsi degustazione al prezzo di 120 e di 150 euro, rispettivamente di 5 e di 8 portate. Appena entrati si viene fatti accomodare in terrazza (oppure in una zona riservata della sala quando è inverno) per gustare gli snack di benvenuto, magari accompagnandoli a un drink o a un calice di vino da scegliere dall’apposita lista. Dopo aver scelto uno chardonnay francese, ci siamo visti recapitare dei deliziosi appetizer composti da una ciotolina di brodo freddo di pomodoro arrosto con fragolina di bosco, da una tartelletta con pomodori selvatici mignon del proprio orto sito a Campagnano con salsa di mandorla, da un bignè salato farcito con mole (tipica salsa messicana) e cacao in superficie e da una pancia di ricciola affinata con il koji (un preparato di origini giapponesi a base di cereali, di solito riso, su cui viene fatto attecchire l’aspergillus oryzae, al fine di creare una sostanza fermentativa) servita con la focaccia “Orma”, nella pratica una melanzana avvolta da una leggera pastella, cotta alla brace, glassata con una melassa di pomodoro e whisky torbato ed emulsione al peperone. L’ultimo finger food di benvenuto ci è stato servito presso lo chef’s table, direttamente dalle mani dello chef che spiega anche il piatto: una ceviche di capasanta con leche de tigre da bere a parte per un piatto equilibrato e ricco di contaminazioni. Giunti al tavolo c’è il servizio della prima tipologia di pane, una pagnottella realizzata con grani antichi siciliani e semi vari, che viene accompagnata da una sorta di burro mantecato con mascarpone a ricordare un prodotto caseario dei Balcani (servito con semi di finocchiella e sale Maldon), mentre la seconda varietà è una focaccina morbida di mais. A seguire l’ostrica Gillardeau che va ad accompagnare i cubetti di melanzana perlina adagiata precedentemente sull’alga sotto la quale c’è della brace, quindi è un piatto “in evoluzione”, visto che il moderato calore può cambiare consistenze e temperature; il tutto terminato con un kefir di bufala a dare la giusta spinta acida. Ottimo lo spaghetto mantecato a freddo con “latte” di pinoli, colatura di alici a dare sapidità e sopra un battuto mediterraneo di pinoli tostati, scarola a pezzetti e uva passa zibibbo di Pantelleria, arricchito da una spruzzata di distillato analcolico di limone fatto in casa, che avremmo visto meglio in una misura maggiore proprio per contrastare le note dolci dell’uva. Prima dell’arrivo del secondo piatto, giunge in tavola un delizioso pane lievitato sullo stecco di liquirizia, cotto sulla brace e arricchito da miele di castagno e dell’olio EVO, da mangiare come se fosse uno spiedino. Il pescato del giorno era la ricciola magistralmente cotta sulla brace, come le foglie di bieta che l’accompagnavano, servita con gambi crudi di bieta conditi con un’emulsione di limone, salsa di burro e bieta e fondo di cottura del pesce arricchito da capperi, limone ed erba cipollina; sopra, a completare il tutto e a dare una nota balsamica il rafano grattugiato. Un piacevole pre dessert a base di succo di lulo (un ortaggio della famiglia delle solanacee dal gusto acidulo), crema gelata di mais e panela, anticipa l’originale dolce chiamato “platano”, con una base di namelaka di platano arrosto e cioccolato, riempita con mirtilli disidratati, rucola, pepe verde, buccia di lime grattugiata e gelato al kefir, completata da sfoglie croccanti di platano verde. In chiusura un caffè leggermente sovraestratto, dall’aroma che evidenziava una forte tostatura, privo di complessità aromatiche, servito con piccola pasticceria.
AMBIENTE
Molto bello il restyling del locale che valorizza i toni naturali del legno, le nuances chiare e le linee morbide, con dei piccoli solchi (orme per l’appunto) al centro di ogni tavolo, che fungono da base di appoggio, ad esempio, per il pane o per il burro. In fondo è posizionata l’ampia cucina quasi completamente a vista e presso la quale c’è lo chef’s table, mentre al piano superiore si trova la bella terrazza che, nonostante sia priva di una vista mozzafiato, è un’oasi di tranquillità e di relax nelle belle giornate estive.
SERVIZIO
Professionale ma non impostato, preciso e simpatico, con lo chef e il sous chef che ogni tanto escono per terminare dei piatti al tavolo.
Recensione a cura di: Roma de La Pecora Nera – ed. 2023 – www.lapecoranera.net