Riccardo Muti e l’elogio degli inni patriottici: “Nelle scuole si cantino Fratelli d’Italia e Va’ pensiero”
Non parla di Sanremo, non parla di politica, non parla di Geolier, non vuole titolo provocatori, ma il Maestro Riccardo Muti, orgoglio nazionale della musica classica, parla volentieri di cosa insegnerebbe nelle scuole italiane: gli inni, anche quelli patriottici, e fa riferimento a titoli che al giornalista echeggiano posizioni politiche, Fratelli d’Italia, Va’ pensiero, ma nega qualsiasi coinvolgimento che non sia musicale. Ma anche della sua indole patriottica, che gli fa ridicolizzare la grandeur francese, Muti non fa mistero. Nella sua intervista di oggi alla Stampa, il Maestro mette l’Italia e l’italianità al centro delle sue riflessioni.
Un italiano vero che sfotte i francesi
“Quando dicono les italiens con quel loro tono sprezzante, ci tengo sempre a ricordargli che è stata Caterina De’ Medici a portare in Francia le posate: prima, mangiavano con le mani”, scherza, ma non troppo, Riccardo Muti, che ne anche per la cosiddetta cancel culture. “Imbiancando ciò che è sporco, non aiutiamo i giovani. A loro dobbiamo consegnare il passato così com’è stato, affinché possano correggerlo. Abbiamo deciso di non cambiare il libretto del Ballo, come altri hanno fatto: a me un mondo che cambia i libretti delle opere e che vive di slogan sembra un mondo terrificante, ma per fortuna non è un problema mio affrontarlo: io tra non molto guarderò i fiori da sotto”.
Di giovani parla volentieri, il Maestro. Perché i teatri sono pieni di anziani? “Perché sono posti respingenti. Si parla di quello che succede a teatro solo in occasione di grandi eventi, che sono la nuova ossessione. E di quei grandi eventi si racconta quasi solo chi ci va e con quali vestiti addosso: così, i ragazzi si fanno l’idea che i teatri siano posti inaccessibili e poco interessanti, frivoli, di rappresentanza, dove la musica è una specie di odioso suono da sopportare senza capire niente. Il trionfo della musica detta “non classica”, che spazia dal pop al rap, è dovuto principalmente al fatto che è una musica che mette a proprio agio chi la ascolta perché è facile da assorbire e non richiede alcun impegno culturale, ma pure perché viene eseguita in ambienti dove i ragazzi si sentono tranquilli e non vengono indotti a sentirsi inferiori o inadeguati rispetto a un qualche signorone in smoking. Spero che prima o poi riusciremo a far sì che il rapporto esecutore-ascoltatore sia meno formale e inamidato”.
Riccardo Muti, la musica, la scuola, gli inni da cantare
“Bisogna ripensare completamente l’insegnamento della musica a scuola. Le dico cosa non serve e fa soltanto danni: il solfeggio per imparare a suonare uno strumentino; far cantare Fratelli d’Italia; far ascoltare il Va’ pensiero… è inutile far sentire uno stralcio delle Quattro Stagioni di Vivaldi o un’aria di un’opera, una qualsiasi, diciamo Vincerò della Turandot, senza però aver insegnato ai ragazzi che quelli sono solo momenti conclusivi di un racconto drammatico. Bisogna prendersi la briga di insegnare l’ascolto, e avere il coraggio di far capire che costa fatica. Ma queste cose le dico da decenni e non cambia mai niente… Nei conservatori bisognerebbe istituire corsi per insegnare a insegnare. Ma capisce che per tutto questo serve una volontà collettiva?”. E la politica. “Io non sono né di destra, né di sinistra, né di centro. Né comunista, né fascista, né democristiano. Credo nell’uguaglianza e nel benessere: la Nona di Beethoven dice che siamo tutti fratelli. E la penso come Eduardo De Filippo: “Professionista libero, non mi lego a nisciuno”.