Toh guarda, il Sanremo più visto di sempre è quello di “TeleMeloni”. Ma la Rai non era in declino?
A Sanremo concluso, due dati sono incontrovertibili. Il primo: il festival è stato un successo senza precedenti. Il secondo: come la si metta la si metta, le polemiche politiche che sono scaturite da alcuni momenti della kermesse smontano tutta la narrazione della sinistra sulla nuova Rai melonizzata e sul disastro che rappresenta. Perché se “TeleMeloni” esiste, come dicono loro, allora il successo è tutto suo. Se invece – come si affrettano a sottolineare alcuni – Sanremo fa format a sé, allora non esiste “TeleMeloni”, dunque non esiste un governo che monopolizza la “prima industria culturale italiana”, comprimendo libertà d’opinione e d’espressione a proprio vantaggio.
Sanremo smentisce la tesi di “TeleMeloni”
Esiste invece una Rai libera, nella quale il conduttore può cantare Bella Ciao senza essere destituito, gli artisti possono prendere posizione su temi geopolitici di estrema sensibilità senza che venga loro chiuso il microfono e gli ammiccamenti alla sessualità non binaria sono all’ordine del giorno. Poi certo ci sono le polemiche, le prese di posizione e anche di distanza, come quella dell’Ad Rai Roberto Sergio (letta da Mara Venier a Domenica In) che ha ribadito la vicinanza dell’azienda al popolo di Israele, dopo le parole di Ghali sul “genocidio”. E ci mancherebbe altro.
Amadeus ringrazia i vertici Rai per la “totale libertà”
Per quanto il tema sia delicatissimo e la frase del cantante abbia scatenato un putiferio, infatti, nell’economia complessiva della valutazione del Festival in sé si tratta comunque di un caso di dito e luna. Ghali, il suo appello, le reazioni che hanno suscitato sono il dito; la luna è quello che ci dicono sull’agibilità di quel palco, ovvero che è stata piena. Lo stesso Amadeus, congedandosi, ha ringraziato i vertici Rai per la “totale libertà” che gli hanno garantito, come “è sempre accaduto anche nei quattro anni precedenti”. “Mai una telefonata di pressione. Le polemiche c’erano, erano nell’aria ma io direttamente non ho mai ricevuto una telefonata, nessuna pressione politica”, ha aggiunto il direttore artistico, sottolineando che quest’anno nulla è cambiato rispetto ai precedenti.
Quello che resta, a sinistra, del dopo festival
Dunque, si diceva, dicendo addio al Sanremo 2024 si dice anche bye bye alla narrazione della sinistra sui disastri e sulle compressioni di libertà, sulla volontà di egemonia e sull’accaparramento di spazi. E qualcuno sembra averlo capito. Con un lungo pezzo su Repubblica di oggi sul “dopo Festival”, infatti, Luigi Manconi ci spiega che gli scandali a Sanremo ci sono sempre stati e che sempre il Festival è destinato ad assumere una connotazione politica e che dal Festival di quest’anno emerge che FdI e Lega non temono la cultura di sinistra, ma la modernità. E che, insomma, “se il Festival fosse un terreno privilegiato di scontro per l’egemonia culturale Giorgia Meloni avrebbe già perso”. “Purtroppo non è affatto così, perché la più profonda egemonia culturale è quella che produce senso comune e milioni di voti e che ha portato al trionfo di Meloni nel 2022”. E, insomma, meglio non avventurarsi oltre a sostenere la tesi di “TeleMeloni”, che non regge, non impatta e neanche porta voti. E forse pure meglio evitare di compiacersi troppo di Bella Ciao e Ghali, che – insomma – magari non sono solo canzonette, ma neanche sono un inno di vittoria.