8 marzo, vandalismi e donne dimenticate: ai cortei va in scena la morte del femminismo
Come ampiamente previsto, i cortei dell’8 marzo indetti in diverse città italiane dal collettivo Non una di meno hanno certificato che “il femminismo è morto”. Si tratta di un allarme che era stato lanciato qualche giorno fa da Lucetta Scaraffia, ricordando che “l’affermazione base del femminismo” è “che le donne sono tutte sorelle nell’oppressione, senza distinguere fra origine etnica, appartenenza politica, classe sociale”. Non è così per le femministe scese in piazza oggi che, non a caso, si definiscono transfemministe. Per loro ci sono donne che vanno difese e donne che vanno dimenticate, donne che devono essere liberate dall’oppressione del patriarcato e donne che possono tranquillamente rimanerne schiacciate. Con una discriminante ben precisa e tutta politica: il loro essere funzionali o meno alle cause di parte che queste femministe hanno deciso di sposare.
Le donne israeliane bandite dai cortei per l’8 marzo
Succede così che tanto a Roma quanto a Milano le donne israeliane finiscano messe al bando dai cortei, nonostante oggi sulla scena mondiale siano il volto dell’orrore degli stupri. Riconoscerlo dando loro spazio, però, significherebbe ammettere le atrocità di Hamas, passaggio che non è contemplato da quelle parti. “Siamo qui per far risuonare il grido delle donne palestinesi e curde”, è stato uno degli slogan gridati al corteo di Roma, tra inviti a “educare i figli”, considerazioni sul fatto che è “assurdo sentirsi privilegiate ad essere ancora vive” e avvertimenti sul fatto che “insultate, stuprate, ammazzate ci volete mute ci avrete arrabbiate. Distruggete il patriarcato”. L’importante è che il patriarcato abbia il volto giusto e che il privilegio di essere rimaste in vita non riguardi le donne scampate ai massacri del 7 ottobre.
L’azione contro il manifesto per i diritti delle musulmane in Italia
Perché, insomma, è evidente che ci sono stupri e stupri, femminicidi e femminicidi e quelli compiuti dai terroristi di Hamas non valgono la solidarietà a donne che hanno la nazionalità di uno Stato indicato come il nemico. Ugualmente, c’è oppressione e oppressione. Anche su questo le femministe di Non una di meno hanno dato prova plastica di come la pensano: tra le azioni altamente rappresentative del corteo c’è stato anche la vandalizzazione dei manifesto della Lega con la foto di una donna con il niqab e la scritta in arabo e in italiano “in Europa hai gli stessi diritti di tuo marito” e “8 marzo festa di tutte le donne”. Le femministe li hanno coperti con manifesti di solidarietà alle donne palestinesi e la scritta “free Palestine” o imbrattati con vernice fucsia.
Il blitz in Campidoglio delle attiviste di “Bruciamo tutto”
E vai a capire se quel gesto è stato dettato più dall’odio verso la Lega o dalla rabbia di trovarsi di fronte a una forma di oppressione che non rientra nei loro canoni, ovvero che non è attribuibile al maschio bianco eterosessuale, unico portatore – in quella visione – della cultura patriarcale da abbattere. Tra le azioni compiute a Roma si segnala anche l’interruzione di un convegno in Campidoglio sul tema “Sostenibilità sostantivo femminile” compiuta dalle attiviste del collettivo indipendente “Bruciamo tutto”, che portavano lo striscione “Bruciamo tutto, fuoco trasformativo” e chiedevano un “reddito di libertà, più informazione e sensibilità”.
Il grido del corteo di Milano: “Stop patriarcato, stop genocidio”
Non è andata molto diversamente a Milano, dove Non una di meno era al fianco della manifestazione dei collettivi, insieme a esponenti della Cgil e del Cub, per poi bissare nel pomeriggio. Lo striscione di apertura del corteo era “Stop patriarcato, stop genocidio”. “Vogliamo una scuola libera dalla cultura dello stupro e dalla cultura del silenzio”, ha detto una ragazza dal palco, rivendicando che “vogliamo essere libere di uscire la sera senza preoccuparci di essere seguite sotto casa”. Anche Shani Louk, la vittima simbolo del massacro al rave di Re’em, voleva solo ballare con i suoi amici. Ma per il suo caso, in fin dei conti, si può anche dare un’eccezione alla lotta contro la cultura del silenzio.
Vandalismi anti-israeliani, cancel culture e carriere alias: i diritti delle donne sono l’ultimo dei temi
A Milano, più che a Roma, le cronache hanno riferito anche di diversi episodi di vandalismo, oltre che di protesta, verso obiettivi identificati come finanziatori di Israele o autori di chissà quale altra azione deprecabile. Ne hanno fatto le spese cartelloni pubblicitari di Emporio Armani, le vetrine di Zara, la sede di Starbucks, un punto vendita Carrefour, un Mc Donald, i giardini Indro Montanelli via via incontrati lungo il percorso. Davanti a un consultorio dal corteo è stato rivendicato che “ci dicono che l’aborto sia contro la vita, vogliamo essere liberi di scegliere i nostri pronomi e come chiamarci. Vogliamo i preti fuori da scuole e dalle nostre mutande”, mentre quando il percorso ha incrociato l’anagrafe di Milano la rivendicazione è stata sulle carriere Alias, con buona pace di quante, anche nelle file del femminismo storico, ricordano che la difesa delle istanze trans non fa gli interessi delle donne.