Ameba mangia cervello, strage in America. Bassetti: “Evitare lavaggi nasali con acqua di rubinetto”

17 Mar 2024 16:52 - di Carlo Marini
ameba mangia cervello

Un’ameba ha “mangiato” il loro cervello dopo lavaggi nasali sbagliati. I Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) americani descrivono in termini horror i “dieci casi di pazienti con infezione da Acanthamoeba non cheratite che hanno riferito di aver eseguito risciacqui nasali prima di ammalarsi”.

Sono 7 uomini e 3 donne, “tutti immunocompromessi”, spiegano i Cdc. “La maggior parte faceva risciacqui da mesi o addirittura per anni e almeno la metà utilizzava acqua del rubinetto”, sottolinea l’autorità sanitaria che avverte: “Educare contro l’uso di acqua di rubinetto non bollita per il lavaggio nasale può essere efficace nel prevenire le infezioni invasive da Acanthamoeba, in particolare tra gli immunodepressi”.

Le infezioni si sono verificate dal 1994 al 2022, ma 9 si concentrano nell’ultimo decennio, si legge nel report. Dei 10 pazienti, in media 60enni (dai 32 agli 80 anni), 5 soffrivano di cancro e 2 erano malati di Aids. Sette sono sopravvissuti: “Un dato inaspettatamente alto – puntualizzano i Cdc – considerando il tasso di mortalità dell’infezione da Acanthamoeba”. L’infezione ha prodotto un insieme di condizioni che andava dalla rinosinusite alla malattia cutanea, dall’encefalite amebica granulomatosa all’osteomielite. Pur precisando che il rapporto causa-effetto non è sicuro, ossia “non è stato stabilito con certezza che il lavaggio nasale sia la via di trasmissione in ogni caso” analizzato, i Cdc ribadiscono che soprattutto “le persone immunocompromesse dovrebbero essere educate a risciacqui nasali sicuri per prevenire infezioni da ameba”.

“L’ameba è una grave infezione che può colpire il cervello. Secondo un report del Cdc ci sarebbe un legame con l’utilizzo di acqua non sterile per i lavaggi nasali. Bisogna evitare di utilizzare acqua del rubinetto per i lavaggi nasali”. Lo raccomanda su X Matteo Bassetti, direttore di Malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova, commentando il rapporto dei Centers for Disease Control and Prevention americani

Per continuare a leggere l'articolo sostienici oppure accedi