Il campo largo si infrange sul Gran Sasso
È il destra-centro l’unica solida realtà
L’eco dello “squilletto di tromba” della sinistra extralarge si è infranta contro la roccia dura del Gran Sasso. E sulla stazza politica di Marco Marsilio, ribattezzato nei codici di antica militanza come il Lungo. Se “Ohio italiano” doveva essere, come in troppi si sono avventurati ad inquadrare (ovviamente in chiave anti-governativa) dopo le elezioni sarde, questa tornata d’Abruzzo assegna non solo un vincitore – presidente e giunta uscenti, per la prima volta confermati – ma anche un messaggio denso di corollari: il destra-centro è più che vivo e lotta insieme. Sia nel suo impianto territoriale che nella sua proiezione nazionale. Chi ne esce con tutte le ossa rotte è il campo largo: o campo “flop” che è meglio.
Un risultato, la vittoria nettissima del candidato della destra contro l’ammucchiata Pd-5Stelle “etc. etc.”, che rappresenta un energizzante per la coalizione dopo la battuta d’arresto in Sardegna: che a questo punto torna a essere solo un incidente (educativo) di percorso. E conferma, anche qui smentendo il luogocomune, che una classe dirigente c’è. A vincere, infatti, è stato prima di tutto il modello Marsilio: impasto di concretezza, programmazione, infrastrutture e rilancio in grande stile della vocazione industriosa e turistica delle aree interne. Con Marco Marsilio, poi, ha vinto tutto il centrodestra: dimostrando in scala abruzzese quella vitalità, quella compattezza e quella forza (le liste avevano vinto anche in Sardegna) che in chiave nazionale rappresenta il combinato che manda ai matti commentatori interessati e i Vermilinguo al seguito. Con Marsilio, infine, ha vinto ovviamente Giorgia Meloni che ha eletto questa terra – sconvolta dalla furia del terremoto – come simbolo della rinascita nazionale. Scelta compiuta in tempi non sospetti: partendo nel 2017 proprio da L’Aquila, con l’indicazione di un sindaco molto amato e confermato come Pierluigi Biondi, e facendo della conquista della Regione una prima prova fondamentale per il salto di qualità suo e di tutta la “generazione” che rappresenta.
Dall’altra parte? Al netto dell’onore delle armi per la prova del rettore Luciano D’Amico, il resto si commenta da sé. Non è stato sufficiente per Giuseppe Conte portare per le contrade marsicane la nuova Madonna pellegrina, Alessandra Todde; e per Elly Schlein fare lo stesso con il talismano (o simpatico generatore di metafore) Pierluigi Bersani. Il motivo è semplice: agli abruzzesi – che ricordano bene le gestioni del passato targate Pd – delle alchimie giallo-rosse non gliene poteva importare di meno. A maggior ragione nella sua versione extralarge che ha assunto le sembianze di una saga maldestra e tragicomica: con la gara ad ostacoli, ossia ad evitarsi, fra piddini e grillini, fra Renzi e Calenda ed entrambi contro la coppia Bonelli-Fratoianni. Adesso il percorso per i giallorossi si torna a complicare maledettamente: una volta compreso che il campo largo non fa miracoli, sarà difficile a questo punto comporre l’alleanza in Basilicata data la strettissima vicinanza con le Europee, dove l’Opa di Conte sulla leadership di Elly Schlein si farà ossessiva.
Morale d’Abruzzo? La coalizione di governo ha ottenuto un importantissimo segnale di fiducia: che certifica come la luna di miele con gli italiani è tutt’altro che finita. Nessun rilassamento, però: l’opposizione, per quanto sgangherata, non va sottovalutata ma soprattutto è necessario rimboccarsi le maniche davanti alla “stanchezza” dell’opinione pubblica per la crisi internazionale e il costo sociale di due guerre dietro le porte. Per le opposizioni, invece, è un durissimo risveglio nonché uno stop definitivo all’illusione della spallata. Troppa prosopopea dopo i fatti della Sardegna, montata sul nulla: gli elettori non si sono fatti abbindolare. E dunque no, non sta “cambiando il vento” a sinistra. Era e resta solo aria fritta.