La figlia della Brigatista rossa Adriana Faranda: “Provo grande dolore per i figli delle vittime”

1 Mar 2024 15:57 - di Marta Lima

Adriana Faranda, siciliana, è stata una delle protagoniste degli Anni di piombo, nonché esponente di spicco della colonna romana delle Brigate Rosse, compagna di vita di Valerio Morucci con cui partecipò  al sequestro e all’uccisione di Aldo Moro, in veste di “postina” delle Br. Si distaccò dalle Brigate Rosse per contrasti sulle scelte strategiche dell’associazione terroristica nel gennaio 1979, fondando il Movimento Comunista Rivoluzionario. Arrestata il 30 maggio 1979 insieme a Morucci, durante gli anni ottanta Adriana Faranda si è dissociata dal terrorismo beneficiando successivamente delle riduzioni di pena e uscendo dal carcere nel 1994. Oggi, su Repubblica, parla per la prima volta sua figlia, Alexandra Rosati in onore della rivoluzionaria marxista Aleksandra Michaijlovna Kollontaj.

La figlia di Adriana Faranda e le vittime delle Br

“Di quel giorno non ho memoria, ero piccola, avevo solo otto anni. Scuramente ero a scuola, dalle suore Immacolatine. Però ricordo benissimo quando un anno dopo, di notte, vennero a cercare mia madre… Dormivo nel lettone con nonna Rosa, la madre di mamma. Sono cresciuta con lei, perché mia madre prima di diventare una latitante era già stata in clandestinità per anni, sparita con tutti. E con mio padre si erano lasciati quando io a malapena cominciavo a parlare” racconta, a proposito del giorno del rapimento di Moro. Poi Alexandra spiega: “Non potevo immaginare che mamma fosse una brigatista, neanche avrei capito a quell’età cosa volesse dire. Però avevo la stessa sensazione… Ha presente quando si scrive a Babbo Natale e uno da ragazzino pensa ‘Ma esisterà davvero?”.

La ragazzina, cresciuta con la nonna materna e lo zio paterno, a causa della clandestinità e poi del carcere della mamma, oggi ha preso coscienza dei lutti provocati dai terroristi in quegli anni.

L’omaggio ai figli delle vittime del terrorismo

“Negli anni, ho intrapreso un percorso prendendo parte a tanti incontri di giustizia. Ho parlato con i figli di vittime del terrorismo a cui va tutto il mio rispetto: il loro dolore di orfani io non lo posso neanche immaginare, non è comparabile con la mia vita perché anche se in carcere, o assenti, io dei genitori li ho avuti, li avevo, ci potevo parlare o litigare. Ma anche io non ho avuto una vita semplice, anzi. A differenza di chi aveva perso, un padre, un figlio, un fratello per mano dei terroristi, io non esistevo… E per la mia storia familiare ho ricevuto tante porte in faccia, nella vita sociale e sul lavoro. Non sa quante volte ho fatto colloqui… Mi facevano i complimenti: ‘Le faremo sapere’, mi dicevano. Ma poi prendevano informazioni e non mi chiamavano più”.
Oggi con la mamma Alexandra ha ritrovato un buon rapporto. “Ma è come se fosse sempre appesa a un filo che la lega al passato. Mamma si è dissociata dopo l’assassinio di Moro, per un anno si è nascosta insieme a Valerio Morucci: dovevano guardarsi dalla polizia e dai compagni che li cercavano. Poi, a pena scontata, ha cominciato il suo percorso di avvicinamento coi parenti delle vittime. Però è come se non si perdonasse mai. Qualche anno fa è stata male, cancro. Subito dopo l’intervento sono andata in ospedale a trovarla. Era triste. Per cercare di tirarla su le ho detto. ‘Dai mamma! È andato tutto bene, non sei contenta? Lei ha cominciato a piangere. Allora l’ho incalzata: ‘Ora basta mamma! Ti sei fatta la galera, hai pagato…’. Lei con le lacrime che scendevano giù, in silenzio, faceva di no con la testa. Mamma è fragile, ultimamente ha avuto anche alcuni problemi di cuore. Papà, se ho una difficoltà seria come accade adesso con il mio ex marito, mi dice di sfogarmi con lui. ‘Mamma è stanca, Alexandra. S’è fatta 15 anni di carcere. Io solo due, parla con me”.

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