L’editoriale. Perché le tre “punte” del destra-centro giocheranno insieme pure in Europa
In una campagna per le Europee entrata plasticamente nel vivo c’è un dato che è possibile già mettere in conto, ancora prima che si aprano le urne: la prossima Commissione europea sarà di centrodestra. Al di là, almeno così dovrebbe, delle geometrie ventilate da tanti architetti di stanza a Bruxelles. Soprattutto è chiamata ad esserlo a differenza di quella – non proprio brillante (eccezion fatta per qualche timido segnale nell’ultimo scampolo) – che ha governato l’Ue in questi ultimi cinque anni: frutto di una larghissima coalizione ma a trazione decisamente rosso-verde. Il motivo del cambio di regia, e ci si augura di contenuti e agenda, è semplice: i commissari europei, i “ministri” Ue, non dipendono dal risultato elettorale ma vengono indicati dai governi in carica. E al contrario di ciò che è avvenuto nel 2019 gli esecutivi attualmente in carica in Ue per la stragrande maggioranza sono di centrodestra, di destra se non proprio conservatori. Clamorosa l’immagine che esce dall’attuale cartina politica dei 27: solo sei Paesi sono a guida socialdemocratica e liberale. E fra questi Berlino e Parigi non possono certo vantare governi in salute né leadership particolarmente brillanti. Tradotto: per quanto imprescindibile, l’asse franco-tedesco stavolta potrebbe non avere licenza di decidere – come ha sempre fatto – il bello e il cattivo tempo. Ciò significa, chiaramente, un’occasione storica per l’Italia. A questo ci arriviamo.
L’altro dato interessante lo fornisce la rilevazione Ipsos per Euronews sul prossimo Europarlamento. Se da un lato si assisterà a un calo significativo dei socialisti e a un forte ridimensionamento dei Verdi e dei Liberali (tutti azionisti politici e catalizzatori della maggioranza Ursula), dall’altro il sostegno ai partiti delle tre destre monta ovunque: nei Paesi fondatori dell’Ue (Belgio, Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi), fra quelli occidentali (Spagna e Portogallo), al Nord (Finlandia e Svezia), a Sud (Grecia e Cipro) e ad Est (Polonia e Ungheria). Certo, allo stesso tempo gli analisti si affrettano a indicare come la somma aritmetica di queste forze non sarebbe sufficiente per creare una maggioranza “di destra” nel prossimo Europarlamento. Senza considerare, ed è vero, che anche fra queste famiglie politiche esistono idiosincrasie e divisioni di lettura geopolitica (a partire dal sostegno a Kiev) non indifferenti. Ciò significa allora che occorre rassegnarsi alla beffa di una riedizione tout court della maggioranza arcobaleno? Tutta Green Deal, dirigismo finanziario, depressione produttiva e ateismo socialista? Con una sinistra minoranza conclamata in Europa ma ancora con il boccino in mano nei palazzi di Bruxelles? Certo che no. Vediamo il motivo e perché si tratta di un’occasione imprescindibile per il modello rappresentato dal destra-centro italiano.
Giorgia Meloni, infatti, ha sempre dichiarato di perseguire l’obiettivo di costruire in Europa una maggioranza alternativa, senza la sinistra. Per la premier e leader di FdI è un fatto di coerenza: insieme ai suoi alleati ha spedito i socialisti all’opposizione in Italia, intende fare lo stesso in Europa. Ecco perché in questo frangente così delicato più il governo è compatto, più le forze di maggioranze riescono a presentarsi unite (pur nella diversità e al netto di una campagna che si svolge col proporzionale) e più le tre “punte” avranno la forza nell’affermare lo schema tricolore e gli interessi nazionali in Europa. Detto in altri termini: la sfida per il rinnovo del Parlamento di Bruxelles, seppur assai importante, è solo il primo tassello di una maratona che dura cinque anni. Il resto si gioca, tema su tema e come unica testuggine, in Consiglio europeo.
Ecco perché quella europea è una partita che va giocata con pragmatismo, con visione e con la giusta ottica: dato che, come ha dimostrato l’ultimo anno e mezzo della Commissione von der Leyen, l’esecutivo Meloni, percepito come forte e centrato (seppur estraneo alla formulazione del governo Ue), è riuscito non solo a portare a casa risultati ma anche ad attrarre segmenti non consanguinei sui dossier più importanti: energia, agricoltura, immigrazione e industria. E con una nuova Commissione dove le fiches sono ancora tutte da assegnare ogni voto, nel perimetro giusto, è utile per far contare di più l’Italia in Europa. E rendere così la conformazione del prossimo esecutivo di Bruxelles non solo formalmente ma nella sostanza rispondente appieno alla volontà profonda dei popoli europei.