L’intervista. Cristini: “L’Isis è tornato? Non se n’è mai andato. E mira al suo spazio sovietico…”
La minaccia dello Stato islamico sembrava essere uscita fuori dai radar della storia, almeno dalla morte del sedicente califfo Al Baghdadi, avvenuta il 27 ottobre 2019 a Berisha. La mattanza del Crocus City Hall di Mosca, con 143 vittime accertate, ha riportato le lancette indietro e fatto conoscere una nuova sigla della galassia fondamentalista: l’Isis-K, entità terroristica della provincia del Khorasan. Greta Cristini, analista geopolitica e studiosa degli equilibri internazionali, ha dedicato l’ultima puntata del podcast Il Grande Gioco al cosiddetto Isis del Levante. Uno strumento per far sapere chi sono e cosa vogliono.
Greta Cristini, ci aiuti a capire: lo Stato islamico è tornato?
«Diciamo, semmai, che non se n’è mai andato. Dal 2021, l’Isis ha sempre sfruttato le difficoltà in cui si sono trovati tutti i suoi nemici per agire. Lo ha fatto con gli Usa, penso all’attentato all’aeroporto di Kabul. Lo ha fatto con l’Iran e, ora, con la Russia, che ha lasciato scoperto il fronte meridionale perché impegnata da due anni a ovest nella guerra ucraina».
Perché colpire il cuore della Russia?
«Le motivazioni sono tante. In primo luogo, per la memoria drammatica della guerra sovietico-afgana. Poi, perché i russi sono in affari e mantengono rapporti con i talebani, considerati anche loro nemici, alla stregua di americani e cinesi. Ma, soprattutto, perché il loro desiderio è di ottenere un Califfato nella regione storica del Khorasan, che attiene l’ex spazio sovietico».
Come mai, nonostante la rivendicazione dell’attentato, Putin insiste sulle presunte responsabilità ucraine?
«Sarebbe politicamente insostenibile, per Putin, ammettere che si trattava di quattro cani sciolti, di fondamentalisti islamici. E lo sarebbe anche dover ammettere che sia stata un’iniziativa dei soli ucraini, perché significherebbe far passare l’idea che i confini russi, e la sicurezza interna, siano permeabili».
E invece?
«Associare la pista ucraina alla regia dei servizi segreti inglesi e americani, come stanno facendo i fedelissimi di Putin, può servire a schivare le critiche dell’opinione pubblica e addossare ogni responsabilità all’Occidente collettivo».
A che scopo?
«È stata messa in seria difficoltà la credibilità politica di un Putin appena rieletto, facendo ripiombare la popolazione in quel senso di insicurezza tipica dei primi anni del mandato presidenziale. Quando prese il potere, nel 1999, rassicurò i russi dichiarando guerra al terrorismo. Ebbene, quanto accaduto al Crocus City Hall potrebbe servire a compattare l’opinione pubblica e legittimare l’eventuale offensiva nelle aree di Kharkiv, estroflettendo la rabbia interna in vista delle proiezioni belliche dei prossimi mesi».
Le cancellerie occidentali hanno però espresso solidarietà al Cremlino: tali aperture possono favorire l’avvio del dialogo di pace per l’Ucraina?
«Nonostante l’attuale stallo sul campo di battaglia possa favorire l’avvio di una trattativa, non credo che ciò avverrà. Putin è convinto di avere il tempo dalla sua parte e di poter aumentare la leva negoziale. In questa fase, non sono i soli ucraini a non voler trattare. Ma la questione è un’altra, se mi consente».
Prego.
«La demonizzazione e disumanizzazione dell’avversario avvenuta in questi anni, da entrambe le parti, non consente alcun il dialogo. Questo è un conflitto strategico, segnato da una forte caratterizzazione ideologica. Ed entrambe le leadership non sono disposte al negoziato».
I servizi Usa avevano però avvertito il Cremlino del rischio attentati: perché Putin non è corso ai ripari?
«Come detto, ciò avrebbe significato ammettere le falle nella sicurezza. La prassi comune vuole, però, che le grandi potenze mettano a disposizione talune informazioni: il tentativo di aprire un dialogo c’è stato. La sponda dei servizi segreti sarebbe servita ad aprire un canale, facendo leva sulla comune lotta contro il terrorismo, cambiando la narrazione di questa guerra. Putin, però, non ha voluto cogliere questa possibilità».
La guerra intanto va avanti.
«Putin vuole esacerbare l’esasperazione dell’opinione pubblica occidentale, in larga parte contro la guerra, e contribuire alla discordia tra le varie leadership. Gli europei stanno letteralmente attendendo le mosse degli americani. Negli Usa la guerra in Ucraina è divenuta una questione di politica interna, un argomento della campagna elettorale».
Bisogna aspettare l’esito delle presidenziali americane?
«Biden non può rinnegare gli aiuti agli ucraini. Una frangia importante dell’establishment democratico, invece, vuole lo stallo sul campo per puntare al negoziato. Una parte dei repubblicani, intanto, vuole che sia detto espressamente che l’Ucraina ha perso la guerra per puntare a una soluzione del conflitto sul modello coreano. Al momento, è dunque impossibile delineare una strategia precisa: per questo è più che probabile che la guerra continuerà per tutto il 2024. Fino al voto di novembre, almeno».