L’intervista. Delmastro: «Incredibile “sgrammaticatura” di Emiliano: ci si affida alla Procura, non alla sorella del boss»

25 Mar 2024 13:25 - di Antonio Rapisarda

«Nel caso Bari ciò che è più grave, gravissimo, è la “grammatica” di Michele Emiliano: non ci si “affida” alla sorella di un boss di mafia. La mafia si denuncia “affidandosi” alle Procure. È il messaggio che dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio l’Italia si è impegnata a consegnare a tutto il sistema Paese: non affidatevi mai a questa ma denunciate». Andrea Delmastro, sottosegretario di Stato alla Giustizia, è un fiume in piena. Ricostruendo la vicenda su cui hanno acceso i fari, rispettivamente, il Viminale e la commissione Antimafia ci tiene ad affidare – a sua volta – al Secolo d’Italia una valutazione serrata su un caso che espone pesantemente il modello Emiliano-Decaro.

Riavvolgiamo il nastro. Tutto ha avuto inizio con la conferenza stampa di un Antonio Decaro fuori di sé per la convocazione di un’ispezione del Viminale.

«Di fronte a più di 130 arresti e al commissariamento della società municipalizzata mi pareva il minimo che si intervenisse con un atto ispettivo: che è un atto dovuto. Già dall’esordio pareva strano che un sindaco definisse ciò “un atto di guerra”. Per noi sì è un atto di guerra: alla criminalità organizzata e alla sua capacità di infiltrarsi. Non un atto di guerra contro una città o un’amministrazione».

La sinistra ha pensato allora di risolvere la questione con un bagno di folla. Ha esposto la piazza contro le istituzioni.

«Poi scopriamo però che nel giorno in cui bisognava spiegare le modalità con cui ha sempre agito questa amministrazione è salito sul palco il governatore della Puglia e, oltre a dire cose sconcertanti nel merito, ha usato una “grammatica” sconcertante. Cosa vuole dire “affidare” una persona alla sorella di un boss mafioso? Se io ricevo pressioni, minacce, mi affido alla Procura della Repubblica e denuncio il boss mafioso: non vado a casa della sorella del boss per affidargli quella persona. Perché affidarsi al boss mafioso è proprio l’idea di una politica che in una maniera o nell’altra si fa mettere il cappello in testa dalla mafia».

Per il governatore le migliaia di persone in piazza hanno capito la sua versione. Il resto del mondo, a quanto pare, no…

«Sì, e per questo abbiamo avuto delle più o meno claudicanti giustificazioni di Emiliano. E poi, in una sorta di teatro pirandelliano, è saltato fuori Decaro a dire che mai è andato a casa della signora. Insomma: si mettano d’accordo, raccontino la versione corretta, cerchino una versione comune. Perché è un fatto gravissimo. Se poi si aggiunge una foto della quale, per carità, bisogna chiarire i contorni ma dove il sindaco risultava comunque abbracciato alla sorella del boss ce n’è più che mai per avere degli allarmi su questa vicenda».

Il fatto che questa uscita così imbarazzante sia giunta da un magistrato di lungo corso come Emiliano che cosa dimostra?

«Questo è il tratto ancor più parossistico. Perché un magistrato, più ancora di un attore politico o di un cittadino comune, dovrebbe – in termini di contrasto alla mafia – conoscere esattamente il linguaggio, conoscere esattamente che cosa significa affidarsi a un boss mafioso, conoscere esattamente quale aurea di potere conferisci quanto si dice “se io ricevo pressioni, minacce, se io voglio fare dei lavori senza ritorsioni, devo affidarmi; o comunque mi affido”. O si affidano persone al boss mafioso. Ciò vuol dire riconoscere una primazia alla mafia. È un errore, un cedimento culturale, per dirla con Paolo Borsellino. Una cosa che non poteva finire in bocca a un magistrato: perché più di chiunque altro sa che cosa significi quell’esatto verbo e cosa sostenga in quei territori culturalmente».

Il Pd – che ha sempre fatto dell’antimafia declamatoria una bandiera nonché una clava contro il centrodestra – è in evidente imbarazzo. Contesta persino l’audizione in Antimafia.

«Da sottosegretario alla Giustizia vorrei invitare tutte le forze politiche, proprio su certi temi, a non essere a corrente alternata. Più di 130 arresti e l’intervento su una società municipalizzata sono l’esempio più concreto per cui non ci poteva che essere un intervento ispettivo. Invocare l’assoluta immunità, ritenere che l’intervento ispettivo sia frutto di un agguato politico è inaccettabile. Mi chiedo, poi, che cosa sarebbe acaduto se questa medesima dinamica si fosse verificata con un sindaco di centrodestra…»

Manifestazioni di piazza, dirette televisive, appelli all’Ue.

«Esatto. Più che legittimo peraltro. Ecco perché non si può accettare che se ciò capita a un sindaco di sinistra vi sia un’immunità. Quasi a voler raccontare che la sinistra non può essere sfiorata dall’ombra del sospetto. Viceversa: dobbiamo essere tutti unici contro la mafia, tutti pronti a intervenire radicalmente, subito e anzitempo, verso chiunque sia oggetto dei provvedimenti. Difendendo tra l’altro una normativa che ci pone all’avanguardia nel mondo nel contrasto alla criminalità organizzata».

Che cosa si sente di dire ad Emiliano e Decaro a questo punto?

«La commedia degli equivoci di pirandelliana memoria può essere accettata se non interviene su fatti molto gravi quali quelli della lotta alla mafia. E quindi non possiamo accettare che si dica “c’ero, non c’ero e se c’ero non mi ricordo”. Chiariscano come è andata la dinamica perché quello è dirimente per una valutazione politica sull’operato degli amministratori coinvolti»

Smentisce categoricamente che ci sia un movente politico nell’azione del Viminale.

«Assolutamente. Un provvedimento del genere, in queste condizioni, sarebbe stato assunto nei confronti di qualsiasi amministrazione. Attenzione: se spezziamo l’unità delle forze istituzionali sull’antimafia commettiamo un errore che non smetteremo di pagare nei prossimi decenni».

Dal caso Cospito al caso Bari: è la seconda volta che la sinistra finisce nel caos davanti a una vicenda che riguarda i boss. Che idea si è fatto?

«Bisognerebbe chiederlo alla sinistra. Io non ho questo tipo di rapporti».

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