L’intervista. Leo e la rivoluzione fiscale: “Vantaggi per tutti, arriveremo alla Flat tax. I nostri valori gli stessi di sempre”
Fino a ieri sera, in Consiglio dei ministri, Maurizio Leo ha lavorato per sistemare nel puzzle della riforma fiscale un altro tassello, l’undicesimo decreto attuativo, stavolta per sbloccare la revisione del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale. Passo dopo dopo, un po’ tutto sta cambiando, dopo anni di annunci, proroghe e fegati più o meno spappolati di contribuenti e commercialisti alle prese con le ripetute operazioni di “complicazione fiscale”. Il viceministro all’Economia e alle Finanze, invece, ha due ossessioni: semplificare e spiegare, come in questa intervista.
Viceministro Leo, spesso lei parla di una “rivoluzione” fiscale in atto: perché usa un termine così categorico e spesso assimilato a stravolgimenti sociali ispirati dalla sinistra? È un’immagine che rende l’idea di un cambio assoluto di approccio o è anche una maliziosa definizione rivolta all’opposizione?
«La “rivoluzione” non è di destra o di sinistra. In questo caso è un concetto che serve a rendere bene l’idea del totale cambio di approccio che stiamo mettendo in atto nel ridisegnare il sistema fiscale italiano. Senza dimenticare che l’Italia aspetta una riforma organica del fisco da oltre mezzo secolo. Se non è rivoluzione questa…».
La definizione di “Flat tax” assoluta è ancora nell’orizzonte delle riforme fiscali del centrodestra o le manovre già fatte sulle aliquote sono il miglior compromesso rispetto allo slogan spesso usato, soprattutto dalla Lega, in campagna elettorale?
«La Flat tax è ancora tra gli obiettivi di questa legislatura. Vogliamo arrivarci gradualmente, tenendo sempre conto che dobbiamo preservare gli equilibri di bilancio e rispettare anche la progressività delle imposte prevista in Costituzione. Troveremo il giusto meccanismo per combinare queste esigenze e lo faremo di concerto con il Parlamento, senza colpi di mano».
La riforma del governo, su delega del Parlamento, coinvolge circa 25 milioni di contribuenti. L’Ufficio parlamentare di bilancio ha stimato un beneficio medio di 190 euro annui per la riduzione delle aliquote. Ci può quantificare quali sono le fasce di reddito, nello specifico, che riceveranno i migliori vantaggi e in che termini?
«Nel primo intervento fatto sull’Irpef abbiamo concentrato la nostra attenzione sulle fasce di reddito medio-basse, ovvero quelle più colpite dalla crisi. Sicuramente la prossima tappa riguarderà i redditi più elevati. Non possiamo pensare che chi guadagna 50 mila euro possa subire una tassazione che, considerando anche le addizionali regionali e comunali, supera il 50%. Non sono livelli accettabili, perché rischiano di far percepire l’imposizione fiscale come ingiusta. Noi dobbiamo liberare liquidità nelle tasche dei cittadini, non reprimere l’economia».
“I ricchi piangono”, come diceva una vecchia telenovela, o possono goderne anche loro?
«Partiamo anzitutto da una considerazione: essere “ricchi” non è una colpa. Se i guadagni sono frutto di una vita di sacrifici e lavoro onesto, non vedo perché trattare i “ricchi” come fossero cittadini di Serie B o comunque guardarli con disprezzo. È chiaro che, con le risorse che abbiamo a disposizione, visto il particolare momento storico che stiamo vivendo, dobbiamo dare priorità alle fasce basse e alla classe media. Io non credo che nessun “ricco” possa offendersi, anzi sono convinto che i cittadini più abbienti sentano come un dovere morale il fatto di dover contribuire al mantenimento del bilancio pubblico».
Tra le principali novità dei decreti, c’è quello che inizia ad apportare modifiche allo statuto del contribuente: prima o poi arriveremo a un modello “british” con le lettere di “remind” su qualsiasi tipo di multa, tasse non pagate o contributi?
«Il nostro obiettivo è arrivare a un modello “italiano” di eccellenza, ovvero un fisco in grado di essere snello e dinamico, che sappia valorizzare la tecnologia e il digitale, ma soprattutto che agisca ex ante anziché ex post. Arrivare alle lettere di “remind” è di già di per sé un’ammissione di “sconfitta” da parte dello Stato, perché significa che non si è messo i cittadini nelle condizioni di mantenere un percorso fiscale virtuoso».
A che punto è l’attuazione della legge delega?
«Abbiamo approvato dieci decreti in otto mesi, otto dei quali in maniera definitiva, mentre due, dopo il primo vaglio del governo, ora sono all’esame del Parlamento. Si tratta di provvedimenti che vanno dalla revisione delle aliquote Irpef al concordato preventivo biennale, passando per la fiscalità internazionale, il riordino della riscossione e la revisione del contenzioso tributario. Stiamo procedendo a ritmo spedito, tenendo fede alla promessa fatta agli italiani in campagna elettorale».
E ieri è arrivato l’undicesimo, giusto?
«Esattamente. Il Cdm ha approvato la revisione del Testo unico delle dogane, varato più di 50 anni fa. Nel corso dei decenni ha subito poche modifiche sostanziali, ma di fatto è rimasto invariato e disapplicato, perché in contrasto con la normativa doganale UE che ha disciplinato in dettaglio tutti gli istituti doganali. Noi lo abbiamo di fatto riscritto, prevedendo 6 titoli e 120 articolo, a fronte degli oltre 350 del testo attuale. Dunque, un grande lavoro di semplificazione in linea con la linea tenuta sin qui dal governo».
L’obiettivo dell’armonizzazione fiscale europea è davvero possibile, o molto dipenderà dalla maggioranza che scaturirà dalle prossime elezioni europee?
«È un auspicio di chiunque crede nell’Europa e nei suoi valori. Negli ultimi mesi si è parlato molto di un’armonizzazione europea a livello di Difesa. Perché escluderla anche a livello fiscale? È parte di un percorso comunque lungo e articolato, che non si concluderà certo domani e dovrà tenere conto di tutte le specificità dei territori europei, per fare in modo che, nella fase finale di questo percorso, tutti i Paesi siano sullo stesso piano e competitivi alla stessa maniera. Evitare casi di dumping fiscale penso sia la priorità di tutti i Paesi membri».
Il commissario Ue Gentiloni ha recentemente affermato che bisogna “favorire l’equilibrio degli oneri fiscali tra capitali e lavoro, per ridurre le diseguaglianze”: è un messaggio subliminale, un invito alla Patrimoniale, sulla casa, magari?
«Non ho il dono di leggere nel pensiero del Commissario Gentiloni, il cui lavoro, vista la carica istituzionale che ricopre, va sempre rispettato. Posso dire che da parte del governo non c’è nessuna intenzione di mettere le mani nelle tasche degli italiani, tanto meno di colpire i proprietari di immobili. A nostro avviso non è così che si ridurranno le disuguaglianze, anzi. Poi è ovvio che in democrazia ognuno ha le proprie opinioni e non è detto che le nostre collimino con quelle del Commissario».
Lei ha lavorato molto anche sui condoni preventivi, il regime delle sanzioni e sulla rottamazione quater: come replica a chi parla, dall’opposizione, del governo delle sanatorie?
«Sono polemiche politiche e strumentali francamente incomprensibili. Le nostre definizioni prevedono il pagamento integrale dei tributi. Inoltre, attualmente ci sono sanzioni da esproprio, come nel caso della mancata dichiarazione dell’Iva, che possono andare dal 120 al 240% del valore totale dell’imposta. È chiaro che si tratta di somme schizofreniche e non in linea con i parametri europei, dove le sanzioni si aggirano attorno al 60%. Ecco, noi stiamo semplicemente andando in quella direzione, ci stiamo allineando alle altre grandi economie europee. Forse qualcuno vuole accusare anche i governi di Francia, Germania e Spagna di favorire gli evasori perché hanno sanzioni più ragionevoli?».
Ripeterebbe l’equiparazione tra evasione e terrorismo, dopo le polemiche che ne sono scaturite?
«È stata un’espressione presa fuori contesto e ingigantita mediaticamente con il solo obiettivo di attaccare il governo. Ho già chiarito che non vogliamo far partire nessuna caccia alle streghe. Non è nel nostro DNA. Ma l’evasione rimane comunque una piaga da sconfiggere, e sulla quale l’impegno del governo non è in discussione ».
È vero che andò via dal Ministero delle Finanze per dissidi col ministro, definito ironicamente “vampiro”, Vincenzo Visco?
«L’unico vampiro che conosco è Dracula. Ad ogni modo, non sarebbe corretto parlare in questi termini del Professor Visco, che in passato ha ricoperto il mio attuale ruolo».
Cosa le è rimasto, come tecnico prestato alla politica ma anche come politico al servizio dei “tecnici”, della sua militanza nella destra giovanile, sia a livello personale che politico?
«Come ogni esperienza giovanile è stata formativa. I valori che portavamo avanti allora, così come l’entusiasmo che animava la nostra azione, sono gli stessi di oggi e si riflettono sulla nostra azione di governo».
E sul fronte calcistico? Lei è nato a Roma ma si sa delle sue origini campane, dei suoi legami col piccolo comune di Siano, che le ha anche riservato delle onorificenze. È vero che è tifoso del Napoli? Osimhen, Dybala o Immobile?
«Tifo Italia e soprattutto tifo per il mondo del calcio e dello sport più in generale, poiché si tratta di settori importanti per la nostra Nazione, sia dal punto di vista economico che sociale».