Meloni usa il termine “ragazzi” e i deputati delle opposizioni insorgono. Ci tengono ad essere élite e al titolo di “onorevole”
“Ragazzi, vi vedo particolarmente nervosi…”. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ‘richiama’ le opposizioni in Aula alla Camera, ma le sue parole generano ancor più irritazione, perché dai banchi del Pd e del M5S, ma anche di Avs, si sollevano lamentele per quel ‘ragà’, usato più volte dalla premier in sede di replica al dibattito sulle comunicazioni in vista del Consiglio europeo. “Non posso chiamarvi ‘ragazzi’? Vabbé, giovani onorevoli. Nemmeno questo? Evidente che non vi sono particolarmente simpatica…”, dice Meloni.
Interviene il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che cerca di placare gli animi invitando la premier a terminare le comunicazioni, ma la premier insiste: “noi romani ogni tanto lo diciamo ‘ragazzi’… Vi chiedo scusa comunque. I romani ‘sono meglio di questo’? Vabbé, mi scuso anche con i romani”, dice la premier visibilmente indispettita. Così Meloni riprende la replica rivolgendosi ai deputati con un formale “onorevoli colleghi”.
Quanto formalismo da parte della sinistra che riscopre l’arroganza del “lei non sa chi sono io!”. Nessuno ricorda più la proposta di legge dei primi grillini in Parlamento che volevano abolire l’appellativo “onorevole” per sostituirlo con quello di “cittadino”. Adesso i grillini divenuti contiani ci tengono a essere chiamati onorevoli, vabbé.
Quanto alla sinistra, così poco formalista nel fare propria l’ideologia sessantottina, che non ritiene particolarmente grave che uno studente mimi il segno della pistola, anch’essa è affezionata al titolo di “onorevole”. Da tempo ha fatto del lessico l’ultima frontiera di una battaglia asfittica che dimentica gli ultimi e guarda solo al vocabolario. Una triste deriva poco egualitaria e molto elitaria.