Ponte sullo Stretto. La sinistra tra la morsa degli irriducibili del “no” e dei benaltristi
Maurizio Landini ha parlato e ha ribadito che il Ponte sullo Stretto non s’ha da fare. Il leader della Cgil è sbarcato in Sicilia per mettere un freno all’apertura di un cantiere atteso da fino troppo tempo: «Credo che oggi – sono le sue parole – la priorità assoluta sia quella di avere una politica che metta al centro le infrastrutture sociali che mancano come asili, scuole e ospedali». Una lezione di benaltrismo che ha le stesse traiettorie di chi non ha alternative se quella di prendere la palla in mano e scaraventarla in tribuna. Proprio ora che il governo di Giorgia Meloni ha fissato gli obiettivi e dato prova di voler realizzare davvero l’attraversamento stabile tra l’Isola e la Calabria.
Ponte sullo Stretto, il fronte del no alza la voce
Il fronte del no ci sta provando in tutti i modi ad alzare la voce. Negli scorsi giorni, la sinistra-sinistra del movimento La Strada ha convocato un’assemblea pubblica all’interno del consiglio comunale di Reggio Calabria per affermare in maniera assertiva che il Ponte «va respinto con ogni mezzo democratico». Una posizione benedetta anche dal sindaco, il dem Giuseppe Falcomatà, che di recente si è ricollocato tra i benaltristi. Può succedere quando si è schiacciati tra il no degli irriducibili presenti in giunta e le iniziative della segretaria Elly Schlein.
Neanche tre settimane fa, la procura di Roma ha aperto un fascicolo senza indagati né ipotesi di reato circa le procedure di assegnazione dei lavori per il Ponte. Un’iniziativa preventiva scaturita dall’esposto presentato dal verde Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni (Sinistra italiana) e appunto dalla leader del Nazareno.
Il rischio di uno stallo e di un’occasione persa
Come andrà a finire non è dato saperlo, perché il ricorso alla magistratura – oltre a mettere tra parentesi le ragioni della politica e la sua autonomia – può evolvere in qualsiasi direzione. La più temuta oscilla tra lo stallo e l’occasione persa. Il rischio c’è. E fa il paio con il dispetto irragionevole a Giorgia Meloni, che sull’opera sta investendo parecchio. Ma non si tratta soltanto di risorse economiche: perché sul Ponte passa la credibilità internazionale dell’intero sistema Paese in vista del rinnovato protagonismo italiano nel Mediterraneo a seguito dell’ingresso delle truppe di Vladimir Putin in Ucraina.
Ponte sullo Stretto, tutti i benefici su scala nazionale
Il dispetto è però soprattutto ai territori, che attendono da tempo un’infrastruttura destinata ad aprire nuovi mercati e connettere il Mezzogiorno non soltanto al resto d’Italia, ma all’Europa sulla scorta dell’alta velocità. Quello della sinistra rischia di essere l’ennesimo tentativo tafazzista destinato a deprimere potenzialità e frenare lo sviluppo. Gli inglesi parlerebbero del gesto del marito che si taglia il metaforico naso come sgarbo alla moglie. Ognuno a casa sua è libero di fare ciò che vuole, se non fosse che in gioco c’è ben altro.
A ottobre dello scorso anno, Openeconomics ha calcolato quali saranno le ricadute in positivo connesse alla realizzazione del Ponte. A fronte di una spesa complessiva 12,3 miliardi di euro, saranno 19,7 i miliardi di pil nazionale che l’infrastruttura contribuirà a formare. Durante gli 8 anni di cantiere, saranno occupate 33 mila persone. Le entrate per il fisco saranno di 8,8 miliardi; mentre i redditi delle famiglie toccheranno i 18,7 miliardi di euro.
L’impatto stimato sul Pil
Ma c’è un dato sugli altri che aiuta a sfatare talune narrazioni che vedrebbero negli investimenti al Sud lo stesso esercizio di chi versa l’acqua nello scolapasta. Perché l’impatto stimato sul Pil andrà a beneficio di tutto il territorio nazionale, con effetti a cascata su Lombardia (5,6 miliardi di euro) e Lazio (3,7 miliardi di euro) che assorbirebbero rispettivamente il 29% e il 19% dei benefici sul Pil. La Sicilia (2,1 miliardi di euro, pari all’11%) e la Calabria (1,9 miliardi di euro, pari al 10%). Tutte le altre regioni potrebbero beneficiare, nel complesso, del 32% di impatto sul Pil: pari a 6,3 miliardi di euro.
E in termini di occupazione…
Anche l’occupazione sarà diffusa su tutto il territorio nazionale. Saranno 9.337 gli occupati in Lombardia, 6.628 nel Lazio e circa 6.000 tra Sicilia e Calabria. Così come il contributo sui redditi delle famiglie che sarà pari al 27% in Lombardia, 18% nel Lazio e 22% tra le due regioni dello Stretto, che saranno ovviamente le maggiormente beneficiate dagli investimenti messi in cantiere dall’Esecutivo. Insomma, i numeri non sono né di destra né di sinistra. E in questa partita – come ha rilevato Leandra D’Antone, storica dell’età contemporanea alla Sapienza di Roma – il Partito democratico ce la sta mettendo tutta «nell’offrire su un piatto d’argento al governo le responsabilità» di un imprevedibile quanto insperato stop ai lavori.