Giorgia disegna l’Europa del futuro. E si agitano i dinosauri: arriva la fine del (loro) mondo!
L’annuncio di Giorgia Meloni sulla sua discesa in campo e, ancora di più, il programma che ha illustrato per l’Europa del futuro ha messo in agitazione le vestali del “non si può fare”, che oggi si sperticano nel lanciare allarmi a difesa dello status quo. Due, in particolare, di interventi di questi “dinosauri” alle prese con la prospettiva di un’era glaciale delle burocrazie, dei diktat, dei totem che l’affermazione di un’Europa delle sovranità e dei popoli porterebbe con sé: Mario Monti ed Ezio Mauro.
Dal debito al “ce lo chiede l’Europa”: Monti rispolvera tutto il vecchio arsenale
Monti sul Corriere, in un editoriale dal titolo “L’Italia che si sogna senza limiti”, sostiene la tesi di un’Italia in deficit di credibilità nell’Ue per il combinato disposto dei conti pubblici e dell’astensione sul Patto di stabilità, con l’aggiunta della “sospensione” del Def. L’attacco al governo è più tra le righe che esplicitato e, d’altra parte, sarebbe stato difficile il contrario. Perché lo stesso Monti ammette che la responsabilità del problema del debito ricade sui passati governi (leggi Superbonus) e che il rinvio del Def è legato “ad alcuni oggettivi elementi di incertezza del quadro istituzionale e politico”. Quanto al Patto di stabilità, che definisce “l’uno-due sferrato contro l’Italia dagli eurodeputati italiani (tanto di maggioranza quanto di opposizione, ndr) sotto gli occhi di tutta Europa”, Monti da un lato lamenta che Meloni non abbia seguito il suo “suggerimento” di porre il veto, dall’altro è preoccupato della “impressione che si saranno fatti i cittadini e i governo degli altri Paesi europei”.
Ma anche il professore deve ammettere che Meloni “ha saputo crearsi una posizione di rispetto in Europa”
Il professore, quindi, lamenta il fatto che, con queste premesse, quando “il governo italiano, il Parlamento italiano, autorevoli ex presidenti del Consiglio italiani come Mario Draghi e Enrico Letta parlano positivamente della necessità di creare un debito europeo” non avranno credibilità. “Vengono dal Paese i cui parlamentari in Europa, al momento della verità, mettono a verbale con il loro voto la radicata insofferenza per ogni limite sul disavanzo e sul debito, che li contraddistingue individualmente e come appartenenti ad una cultura nazionale convinta, dopo decine di prove in contrario, che con il disavanzo e il debito pubblico, forse solo con essi, si ottengono crescita e occupazione”. Ed eccoli lì che tornano, in tutta la loro plasticità, sia il tema dei vincoli che non si possono mettere in discussione sia quello, ancora più insidioso, della sudditanza psicologica, di non giocarsi la propria partita nei modi e nei tempi che si scelgono in casa per non dispiacere le cancellerie europee. E questo anche a dispetto della consapevolezza, scrive lo stesso Monti, che Meloni “dalla nascita del governo in poi ha saputo crearsi una posizione di rispetto in Europa”.
Il “soldato” Giorgia in Europa allarma Mauro
Più di scenario l’intervento di Mauro su Repubblica, per il quale sostanzialmente è biasimabile il fatto che Meloni, sospinta dalla “ideologia conservatrice e rivoluzionari”, voglia “alzare la posta” in Europa “e uscire dai confini nazionali, proponendosi come soggetto sovversivo degli equilibri europei con un nuovo modello di destra radicale costruito sulla tradizione, la famiglia, la generazione, la fede per sconfiggere la sinistra e mandarla all’opposizione, risvegliando il ‘continente dormiente’ con l’indicazione del suo vero destino, mettendo fine a questa lunga notte europea”. Mauro, dopo aver sottolineato che non si tratta solo di un programma elettorale, avverte che “Meloni è convinta che l’esperimento italiano di una destra che viene dal post-neo fascismo e in pochi anni ha conquistato il governo di un Paese fondatore dell’Unione possa funzionare da leva continentale per costruire una nuova geografia politica e soprattutto per fondare una nuova cultura istituzionale e valoriale, in grado di chiudere la stagione dei compromessi tra il centro e la sinistra a Bruxelles e a Strasburgo”. Un impegno che, secondo l’editorialista di Repubblica, “è una chiamata ai centristi a farsi conservatori, ai popolari a diventare reazionari” e, soprattutto, manifesta la volontà di Meloni di affermarsi come unica leader di una leadership personalistica. “Giorgia – avverte Mauro – riassume questa destra diffidente della modernità, patriota del passato, sospettosa della democrazia liberale, occidentale per caso, dunque ancora in attesa di una definizione compiuta. O forse solo in attesa del ritorno di Trump, pronto con la sua controdemocrazia eversiva a rimettere le cose a posto, di qua e di là dell’Atlantico”. E così si ha la misura esatta di quanto facciano paura in certi ambienti la discesa in campo del “soldato” Meloni e il suo programma per una nuova Europa.