L’editoriale. Ciò che i giornaloni faticano ad ammettere: qui si fa l’Europa (dei popoli)

28 Apr 2024 6:00 - di Antonio Rapisarda

Il “commentatore unico” ha sentenziato: secondo costoro in questa campagna elettorale per le Europee non si sta parlando di Europa. Quotidiano su quotidiano – almeno fra i cosiddetti ufficiali – non cambia la solfa: a prendersi la scena, ovviamente per responsabilità esclusiva di tutta la classe politica, sarebbero i temi del cortiletto interno (i “gettonisti” del 25 aprile, il caso Vannacci, i dolori del campo largo, le polemiche lunari sulle magliette dei giovani di Atreju donate…agli ospiti) e non i nodi fondamentali che riguardano l’Unione europea. Al netto di un’autocritica sostanziale che manca totalmente da parte dei suddetti media, ad emergere è il solito occhio pigro di certe analisi che faticano maledettamente a scorgere i fenomeni reali quando non rispondono ai propri cliché.

Che cosa manca in queste articolesse? Il vero fatto di questi giorni: quale altro partito ha scelto di “aprirsi” alle migliori energie per tre giorni – sui temi dell’energia, della difesa, del lavoro, dei diritti – per definire la propria piattaforma proprio sull’Europa? Obiezione: «Facile», spiega una certa vulgata, «quando si è partito guida del governo…». Obiezione respinta. Fratelli d’Italia le conferenze programmatiche le organizza da tempi non sospetti nei quali, oltretutto, viaggiava all’opposizione e con ben altre percentuali: già a Torino, nel 2019 per la precedente tornata per Bruxelles; e poi a Milano, nel 2022, quando ancora il governo Draghi era in piena attività. Segno che sottoporre la propria elaborazione a un confronto articolato, come sta avvenendo a Pescara, è un’abitudine radicata nel partito “pensante” voluto da Giorgia Meloni.

Eppure la narrazione impostata da diversi osservatori tende a non evidenziare e a non dare atto della buona pratica della destra di governo, preferendo recitare a soggetto sul fantomatico spettro dell’euroscetticismo che aleggerebbe sull’Europa. E dunque sull’antidoto: una riedizione della maggioranza Ursula senza Ursula. O, meglio ancora, un governo tecnico in chiave continentale. Ad ispirare incautamente quest’ultimo scenario – con l’indicazione, de facto, di Mario Draghi come prossimo presidente della Commissione – lo sconfitto ai blocchi di partenza: Emmanuel Macron, presidente di minoranza e stella cadente della politica europea.

Cosa manca, anche qui, in ragionamenti del genere? Non solo i conti senza l’oste – ossia l’indirizzo politico che dovrebbe ispirarsi dal consenso popolare – ma anche il fatto che senza l’Italia e il suo governo, stavolta, non si potranno comporre esecutivi e mandati europei credibili. E l’Italia, da parte sua, ha tanti attrezzi pronti all’uso. Lo ha già dimostrato, a proposito di FdI, con uno sparuto gruppo parlamentare e un esecutivo di destra-centro subentrato negli ultimi scampoli della commissione Ursula. Su tanti dossier decisivi: dal price cup sul gas alla difesa dei confini esterni, dalla riforma della politica agricola alla contrapposizione al fanatismo del Green Deal. Figuriamoci che cosa accadrà con una delegazione che vedrà moltiplicare la propria rappresentanza, a cui vanno aggiunte quelle di Forza Italia e Lega, in un’Europa che sta svoltando a destra governo dopo governo.

Questo sarà di certo uno dei temi principali che Giorgia Meloni affronterà in conclusione della tre giorni di Pescara. Una kermesse che il Secolo d’Italia ha raccontato passo dopo passo proprio per offrire ai lettori un quadro completo e il verso giusto rispetto al “commentatore unico”. Una tre giorni da cui è emersa, punto su punto, la ricetta italiana per un’Europa finalmente soggetto politico e necessariamente attore geopolitico. Un’Europa che uscirà rinvigorita, dopo tanta stagnazione tecnocratica, dal ritorno sulla scena degli affluenti naturali: i suoi popoli. Tutto ciò faticherete a leggerlo compiutamente da altre parti. Ecco a cosa serve il Secolo.

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