L’editoriale. Con la Basilicata è 7-1 per la destra L’effetto “monologo”? Soltanto una bolla…
Le cose a questo punto sono due: o nessuno legge Antonio Scurati (e così non è); o il tanto agognato “effetto monologo” esiste solo nelle farneticazioni di chi insegue gli spettri del fascismo immaginario. Di certo in Basilicata né domenica né lunedì l’hanno visto arrivare. Qui il centrodestra – nonostante il comizietto antigovernativo del già premio Strega mandato a reti semiunificate, e a silenzio elettorale in corso, con la scusa del 25 aprile – ha letteralmente stracciato l’ultimo lembo di campo largo (secondo la vulgata di questi tempi, una sorta di nuova “Resistenza”) ancora in piedi. È finita con Vito Bardi, il governatore coscienzioso che ha lottato contro l’inflazione senza cedere all’assistenzialismo, avanti quattordici punti nei confronti dello sfidante giallorosso Piero Marrese. Una conferma schiacciante e politicamente pesante.
Queste in terra lucana non erano elezioni regionali come le altre: si è trattato dell’ultima tornata prima delle Europee. Più di qualcuno a sinistra – dopo lo squilletto di tromba del voto in Sardegna – aveva sperato che potessero rappresentare «l’Ohio italiano». Ossia l’indicatore di un avviso di sfratto per l’esecutivo. È andata esattamente al contrario: Ohio sì ma per tirare la volata al governo. Dopo il grande risultato in Abruzzo anche qui, infatti, non c’è stata partita: l’onda lunga è cavalcata sempre più in solitaria da Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini. Dall’altra parte ad Elly Schlein, Giuseppe Conte e ai cespugli rosso-verdi non resta che guardare gli altri surfare.
I motivi dell’ennesima debacle? Troppo caos nel camp(ett)o largo: è vero. La mattanza dei candidati in Lucania, con l’operazione ostile di Giuseppe Conte nei confronti di Elly Schlein, ha mandato letteralmente all’aria i papabili governatori e scoraggiato l’elettorato. Così come non ha giovato all’immagine dei candidati la questione morale che sta dilaniando il centrosinistra in Puglia e a Torino. Insomma, leadership deboli, disarmonia ma anche dirigenti locali totalmente disabituati a rilanciare qualsivoglia messaggio senza più l’apparato pubblico a fare “leva” e cassa. Gran parte dell’astensione, che ha colpito solo a sinistra, si rivolge proprio a questo.
Dall’altro lato il voto popolare in Basilicata continua a premiare la formula di un governo che si materializza, appuntamento su appuntamento, sempre unito davanti agli elettori. A Potenza, nello specifico, è stato premiato un modello amministrativo che ha bilanciato ambiente e sviluppo consegnando degli indicatori – su occupazione e povertà – in netta controtendenza rispetto ai dati del Sud Italia. Parliamo, dunque, di fatti, progettazione e investimenti. Un tributo al buongoverno, dunque, sulla scia di ciò che è avvenuto in Abruzzo: segno che la ricetta della destra, da Nord a Sud, è matura e pronta ad agganciarsi al treno delle riforme istituzionali.
A dimostrarlo i numeri: con la vittoria di ieri, siamo 7 Regioni a 1 per la destra dal giorno dell’exploit alle Politiche. Un risultato che non avrebbe bisogno di troppi commenti se non fosse che l’agenda mediatica in questi giorni è tutta, o gran parte, occupata dagli strali della sinistra in difesa delle sue improbabili eroine (Ilaria Salis, Valentina Mira) e impegnata nella solita riedizione del 25 aprile permanente tanto ossessiva e ossessionata in certi talk show quanto assente nelle urne. A proposito di spettri: stavolta “concreti”…