L’editoriale. Fra i litiganti terzopolisti e del Pd, alla destra resta il centro di gravità permanente

2 Apr 2024 7:05 - di Antonio Rapisarda

Cercano un posto “al sole” ma continuano a non possedere un baricentro politico, un blocco sociale, un centro di gravità permanente. A poco più di due mesi dalle elezioni Europee, con la scadenza della consegna delle liste che si avvicina inesorabile, le cronache politiche forniscono indicazioni illuminanti circa lo stato di salute dei protagonisti della tornata considerata a tutti gli effetti la prova di metà mandato per tutti: maggioranza e opposizioni. La settimana che ha accompagnato fino alle festività di Pasqua ha chiarito, una volta di più, lo stato confusionale in cui versano quest’ultime: chiamate necessariamente a fornire segnali immediati di ripresa se intendono sopravvivere o – come dovrebbe fare chi insegue – mostrarsi competitive in vista delle prossime Politiche.

A fornire il racconto più esilarante è la sitcom neocentrista fra Matteo Renzi, Emma Bonino, Clemente Mastella, Totò Cuffaro, Federico Pizzarotti  e Carlo Calenda: addendi che non riesco a comporsi nemmeno come somma aritmetica. Proprio così: l’idea di un listone pro-Ue, ribattezzato dalla Bonino “per gli Stati Uniti d’Europa”, è esploso prima di partire. Un trionfo dadaista a tutti gli effetti: e infatti non solo è riemersa subito la dicotomia insanabile e personalista Renzi-Calenda, ma anche l’impossibilità di far convergere (sic!) l’ex Dc Cuffaro con il presidente di +Europa Pizzarotti. A rivelarsi, dietro i richiami roboanti allo spirito di Ventotene e ad Altiero Spinelli, è un quadro desolante: un’alleanza di scopo sì, buona solo per “scavallare” la soglia del 4%. Una dinamica che appassiona più commentatori nei talk che elettori.

Problema diverso ma altrettanto vitale per Elly Schlein: costretta alla fatica di Sisifo di costruire la propria leadership in un partito che in realtà non l’ha scelta e continua a subirla come un corpo estraneo. Per la segretaria del Nazareno le Europee sono l’occasione ghiotta per costituire un primo blocco parlamentare a sua immagine e somiglianza (di programmi sull’Europa, oltre l’adesione acritica all’agenda Timmermans, poco o niente). Ha scelto di farlo manifestando l’intenzione di riempire le liste di candide civiche come capolista (da Lucia Annunziata a Cecilia Strada) e inserendo una figura, come quella dell’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, le cui posizioni sulla guerra e sui temi etici si discostano rispettivamente dalla “destra” e dalla “sinistra” del Pd. Ciliegina sulla torta, la ventilata candidatura della leader in persona al terzo posto in tutte le circoscrizioni. Apriti cielo.

Peccato per Schlein, infatti, che il suo obiettivo si stia scontrando con la rivolta delle “elette”, ossia le europarlamentari uscenti, e dei capicorrente: uniti nell’accusare la segretaria di voler rottamare la classe dirigente del Pd (il “panino” fra civiche e la leader nelle liste impedirebbe la rielezioni di diverse donne dem) e il posizionamento del partito sul sostegno a Kiev. Accuse e sospetti gravi di “amichettismo” anti-femminista – i paradossi che solo il Pd sa offrire – e di ambiguità sull’alleanza atlantista che nascondono in realtà il fastidio del corpaccione piddino, inclusi alcuni sponsor di Schlein, che tramano insieme da settimane agognando una nuova segreteria.

Come si può facilmente intuire le risse politiciste nell’ex Terzo polo e nel Pd sono tutte orientate alla ricerca del famigerato posto…in lista. A restare fuori, oltre che i progetti, è il riferimento diretto all’elettorato, alla domanda e all’offerta di rappresentanza. Alla composizione di quel fronte alternativo che dovrebbe immaginare, a partire dalle Europee, un embrione di progetto, un perimetro da contrapporre alle destra. E invece, ancora una volta, le opposizioni faticano a trovare centralità, dunque connessione con l’Italia maggioritaria.

Proprio ciò che può vantare, da trent’anni, il centrodestra oggi destra-centro: un popolo. Un soggetto collettivo a cui la coalizione non ha mai mancato (negli alti e bassi fisiologici in politica) di voler offrire risposte. Lo ha fatto attraverso le stagioni e i leader ma senza mai smarrire l’interlocuzione privilegiata con questo. Lo dimostra la dinamica interna che ha sviluppato una staffetta fra le leadership – da Silvio Berlusconi a Matteo Salvini e oggi a Giorgia Meloni – tutt’altro che banale e scontata ma perfettamente assimilata e premiata dall’elettorato. Ecco perché in vista delle Europee i tre partiti – seppur con proporzioni diverse, con FdI sugli scudi – non sono attraversati da tensioni interne, particolari timori o scontri fratricidi. Sanno perfettamente infatti che prima di tutto occorre rispondere alla richiesta di unità, pur nelle differenze, che giunge incessantemente dal loro popolo. Quel centro di gravità permanente “che non gli fa cambiare mai idea sulle cose, sulla gente…”.

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