L’editoriale. Cari Montanari & co: il Secolo non chiude la bocca davanti ai cattivi “maestrini”
È l’altra faccia della medaglia di una stagione politica tanto complessa quanto intrigante da raccontare: avere a che fare con certi “sinistri”. Cattivi maestri? Forse maestrini. Di certo cattivi: almeno a parole. Che però, lo insegna la storia (anche quella dell’arte), possono diventare pietre. A noi del Secolo d’Italia sono toccate ieri quelle di Tomaso Montanari: storico dell’arte nonché rettore dell’Università per stranieri di Siena ma celebre per il piglio del prezzemolino antifascista. Così lo ha dipinto – in punta di pennello– il nostro Spartaco Pupo: «Fabbricante professionale di odio». Evidenziando una caratteristica antropologica di una certa compagnia di giro che sogna un 25 aprile permanente: la regressione. Ossia il passaggio dall’approccio che contraddistinse i partigiani-costituenti – tanto immersi nella tragedia della storia quanto attenti a superare l’odio ancora caldissimo contro chi combatté dall’altra parte – a quello dei neo-resistenti “a gettone” (televisivo): quelli che dal tinello di casa sfruttano il passato come una clava, nonché unico argomento, con cui affrontare l’avversario del presente.
La dimostrazione empirica è la risposta isterica del rettore al corsivo del professor Pupo: «Ma almeno oggi tornate nelle fogne e tacete…». Alla faccia della complessità e dell’etica che dovrebbe mostrare un accademico. L’invito di Montanari, sostanzialmente, ricalca quello che ispirava i mazzieri dell’autonomia degli anni ’70 e le loro grandi “gesta”: come sprangare a morte uno studente inerme, “colpevole” di un tema contro le Br. Parliamo di Sergio Ramelli. Espressione, questa utilizzata dallo storico dell’arte, rivolta sommariamente a un’intera redazione, pronunciata sul suo (seguitissimo) profilo social da cui qualche malintenzionato potrebbe prendere spunto. Pura irresponsabilità ma non è una novità. Del resto era ancora lo stesso Montanari, qualche anno fa, a promettere di voler insegnare ai ragazzi del suo ateneo «i valori dell’antifascismo in modo militante». Farneticazioni belle e buone, certo, che giungono non a caso da chi si dimostra di essere capace di prendere solo il peggio dalla “guerra civile strisciante” che ha insanguinato il post-’45: la disumanizzazione dell’altro. Tradotto: per il rettore non siamo giornalisti o analisti da criticare – anche aspramente, nel merito – ma “fascisti” da rinchiudere (come?) nelle fogne.
Ed è così che mentre la storia d’Italia va avanti, per gli intellò antifascisti va indietro. La domanda, a questo punto, è una sola: come ci siamo ridotti a questo? Come siamo passati dallo storico discorso a Montecitorio di Luciano Violante sulle «ragioni dei vinti»; dalla poetica struggente di Francesco De Gregori de Il cuoco di Salò; dal revisionismo “da sinistra” sugli eccidi partigiani di Giampaolo Pansa; dal percorso di pacificazione istituito da Walter Veltroni a Roma fra le vittime di destra e sinistra degli Anni di piombo; già, come siamo passati da tutto questo a chi gioca a richiamare nostalgicamente la violenza politica sul prossimo suo?
A confortarci, parzialmente, è quel «almeno oggi…». Significa che è Montanari stesso a rendersi conto, più o meno inconsciamente, di quanto a una certa sinistra sia rimasta una particina nel calendario repubblicano: un neo-25 aprile (e corollari) radicalizzato ad uso e consumo di comparsate, carriere e cachet. Tutta una parte in commedia, insomma, ma che potrebbe comunque ispirare o giustificare – come ha fatto un’altra del circoletto, Valentina Mira – certe pratiche. Lo ha testimoniato ieri il temibile striscione esposto nelle piazze e dedicato ad Ilaria Salis: «L’antifascismo non si processa». Sottinteso: nemmeno quando si manifesta sotto forma di martellate (degli amici dell’altra maestrina) agli avversari.
Un’ultima cosa la diciamo noi a Montanari. Caro professore, noi non chiudiamo la bocca. Nemmeno il 25 aprile. Per un motivo in particolare: siamo qui a raccontare giorno per giorno l’Italia che sta cambiando. La stessa che si candida a cambiare l’Europa: a riconnetterla con le esigenze dei suoi popoli. Lo fa con un governo conservatore e con una premier espressione di una destra democratica e radicata che ha saputo elaborare, storicizzare il passato ed evolversi senza smarrirsi: tenendo come bussola il principio nazionale. Brutte notizie per gli “sfascisti”, lo comprendiamo bene. Ma una volta tanto magari impareranno qualcosa invece di dare pessime lezioni.
Non c’è bisogno di farla tanto lunga. Il piccolissimo cervello di questi individui non riesce a emanciparsi. Se non parlano di antifascismo sanno di non avere più argomenti. Il problema, molto grave, é che hanno, spesso, il ruolo di insegnanti.
Sia mai a dire che la scuola le universita’ siano in mano alla sinistra..
Complimenti Direttore.
Ottimo Editoriale.
Grazie.